FAMIGLIA PIATTI


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Qui di seguito vengono elencate e descritti i principali rami della famiglia Piatti in Lombardia da quelli di Milano e Fusine e a seguire quelli di Bergamo. Se vuoi contribuire ad aumentare e a condividere le conoscenze di questa famiglia basta scrivere a [email protected]
Conti Piatti, mercanti veneziani divenuti banchieri della Repubblica Partenopea dopo essere stati Consoli di Napoli.
Qui di seguito presentiamo uno stralcio del volume con diversi alberi genealogici sulla famiglia Piatti.

1. I Notai Piatti di Fusine e i Principi Piatti di Monteleone
Il cognome Piatti compare nelle carte lombarde di Fusine con il notaio Giovanni Domenico Piatti fu Baldassarre in Fusine che prosegue il ramo genealogico della famiglia, diviso fra quelli detti Alessandrinelli e gli Alessandrinoni di Foloppolo.1
Altro ramo lombardo della famiglia Piatti fu quello detto di Monteleone. Ebbe inizio col patrizio milanese Girolamo, della famiglia cardinalizia dei Plattus (Piatti). Anzi, egli stesso, fu autore della pubblicazione degli scritti De Cardinalis Dignitate et Officio, Hieronymi Plati e Societate ad Illustriss[i]mum et Rever[endissi]mum Dominum D[ominum] Flaminium Platum, S[anctæ] R[omanæ] E[cclesiæ] Cardinalem nel 1602.2


La dominazione della Serenissima Repubblica veneta si estendeva sul territorio di Bergamo. Nella seconda metà del 1500 veniva istituito in quella città il Consolato dei Mercanti, un organo dotato di poteri giurisdizionali composto dai notabili della città uniti in corporazione per il commercio di prodotti tessili, ma anche di vettovaglie, dalla farina al vino.
Il Consolato dei Mercanti ebbe importanti competenze, come si ricava dagli Statuti dei Consoli dei Mercanti: gli Statuta Mercatorum, approvati da Podestà, Capitano, Vicepodestà e tre anziani. Essi andavano osservati come se fossero stati fatti dal Comune, per cui dovevano essere osservati e fatti osservare da Rettori, Giudici e Consoli medesimi.

Fugaci notizie provenienti dall'ambiente lombardo tracciano il profilo nobiliare della ricca famiglia dei Piatti. Gli atti dei Consoli dei Mercanti di Bergamo riferiscono la presenza del Console Alessandro Piatti per l'anno 1649.4
2. Alessandro Piatti di Bergamo, Console dei Mercanti in Venezia
Ogni anno una commissione veneziana di Mercanti eleggeva quattro rappresentanti con la funzione di Console annuale, i quali giuravano di esercitare la carica in osservanza dello Statuto valevole solo in Bergamo, con giurisdizione dell'autorità su liti e controversie commerciali e quelle intentate contro di essi e trascritti dai propri notai in un Libro mercantile, in cui erano annotati i loro segni distintivi e la licenza, così come accadeva per i sensali, pagando una tassa di iscrizione.5
Dai libri compaiono mercanti diversi, addetti specie alla lavorazione di tessuti come fullatores, tintores, textores, orditores, cimatores, revenditores, laboratores, mercenarios, contrahentes. I Consoli hanno molta autonomia, al punto che effettuano anche l'ufficio di controllo sui cambi e titoli di credito, divenendo essi stessi banchieri, oltre che giudici, per controversie fino a 16 lire imperiali della Serenissima Repubblica di Venezia.6
Essi arrivano a decidere sequestri e pignoramenti, non prima di aver nominato anche arbitri conciliatori, interrogando qualsivoglia implicato, come si ricava dai verbali trascritti dai loro notai ai quali è affidata anche la tutela degli Statuti, verificando la qualità delle merci, pesi e misure, compreso il Privilegio dei cambi nella Piazza di Bergamo ricevuto dalle mani del Doge.7
3. La Giurisdizione di Torrioni e il Tavolario Antonio Piatti (1716)
Nel 1631 il Regio Tavolario Nicola Maione apprezzava per ordine del Sacro Regio Consiglio di Napoli il territorio di Grumo di Bari.8
Il Tavolario era un funzionario dello Stato, inviato nei feudi ad aggiornare le Tabulae censuariae, il libro che registrava i beni posseduti dal fisco.
Il debito di Don Carlo Ravaschieri circa il feudo cosentino di Tortora non era stato mai estinto alla famiglia Exarquez per 90 anni. All'interesse del 7%, dopo quasi un secolo, raggiunse la cifra di circa 40 mila ducati.

I creditori fecero istanza alla Regia Camera della Sommaria di Napoli affinché i beni dei Ravaschieri, allora tenuti da Donna Silvia Maria Caracciolo, marchesa di San Marco, venissero messi all'asta. La Regia Camera, con decreto del 9 gennaio 1692, dispose che il Regio Tavolario Gennaro Sacco si recasse a Tortora per rilevare la consistenza e procedere alla stima del feudo per poi disporne la vendita con pubblica asta. Un Tavolario di Stato aveva quindi soprattutto il compito di apprezzare un feudo da mettere all'asta.9
Qualcosa del genere accadde per Tufo quando, nel 1716, fu ordinato al Regio Tavolario del Sacro Regio Consiglio di Napoli, nella persona del Magnifico Antonio Piatti, di stimare il valore di quelle terre, confiscate ai Marchesi del Tufo per troppi debiti, delineandone i confini.
Grazie a questa stima, sappiamo che è ufficiale la indipendenza del feudo di Torrioni da quello di Tufo in quanto possiede una Giurisdizione tutta propria, essendo nei suoi confini, che sono definiti extra il territorio della Giurisdizione di Tufo, così come paesi a se stanti erano Castelmuzzo e Toccanisi.
Il documento, rinvenuto nel Catasto di Tufo, conclude con l'esatta delimitazione dei 14 confini fra Tufo e gli altri comuni. In particolare si definiscono anche quelli con la Giurisdizione di Torrioni, sebbene i torrionesi, da forestieri, possedessero la maggior parte delle terre entro il perimetro di Tufo.
Tanto appare nell'apprezzo dell'anno 1716 fatto dal Regio Tavolario Magnifico Antonio Piatti coll'intervento del Regio Consigliere Andreasso, Commissario in quel tempo, stando agli atti finiti in Banca, forse per le questioni legate ai grandi debiti contratti dalla famiglia del Tufo proprio per il commercio del vino. Ma veniamo ai confini. Si parte col primo confine dal Ponte delle Tavole di Prata sulla Tea, e sale per la strada pubblica che divide la Giurisdizione del Tufo, e [la Giurisdizione di] Castel Muzzo, e tira via via sino alla Fontana di S.Lucia, ed ivi stà il primo termine lapideo distante da detta fontana da sopra la strada palmi sessantaquattro in c.a che divide le Giurisdizioni del Tufo e Castel Muzzo.
Si ha quindi il secondo termine piantato in Fontana Tea, nel principio della viocciola, che sale sul Montetto, dove stà edificata la Massaria di Giacom'Aniello Zuzzolo, ed all'incontro di detto termine, vi è la via che cala al Ponte di Zeza.
Seguono il terzo termine che sta posto in puntone dove si incontrano due vie, e proprio nel punto dove si dice Cappella di Sette Grani, e quivi termina la Giurisdizione di Castel Muzzo, e comincia quella [detta Giuridizione] di Montefuscolo e S.Paolina.
La quarta pietra miliare sta nella Collina, dov'era la Cappella di San Felice.
Il quinto termine sta posto nell'angolo della strada che da Torrejoni va a Montefuscolo, distante dalla Fontana nominata Zirfa, passi quarantadue in c[irc]a frà due termini si camina Serra serra acqua pendente.
Vi è poi tutto il tracciato dal sesto limite che sta posto nel luogo detto Il Sambuco, che dal detto quinto termine camina strada strada.
Il settimo termine stà posto sopra il Vallone di Cincipaglia, e fra questo ed il sesto termine, vi è la linea retta, che cala per mezzo un concavo territorio, ed in questo punto termina la Giurisdizione di Montefuscolo e S.Paolina e comincia quello di Cucciano.
L'ottava pietra miliare è sopra un Montetto detto Le Canfore.
Il nono termine sta su una collina, proprio nel luogo detto Francomero.
Il decimo termine stà posto in un crucifero pubblico e proprio nel luogo detto Lo Pezzaco sopra il Montetto.
L'undicesima pietra miliare è sulla selva di Orsola Ferraro in Giurisdizione del Tufo, da dove poi la linea retta si cala al basso.
Vi è quindi il dodicesimo termine che stà posto sopra la Fontana delle Mandre, e da questo proseguendo sino alla sommità del Monte detto Varvazzano, s'incontra con il tredicesimo termine stà posto in detta sommità del Monte Varvazzano, dal quale si cala la linea verso basso.
Per quanto riguarda la quattordicesima pietra miliare è sita a Lo Pezzaco di Masto Agnello, da sopra un piede di castagno vecchio, dove vi sta incisa una croce per maggiore evidenza, restando però detto castagno in Giurisdizione di Toccanisi; come anche Il Pantano, che sta distante da detto termine passi dieci in circa, e da questo ultimo punto descritto tira la linea retta, sino alla Fontana dell'Acqua Fresca, dove finisce la giurisdizione di Toccanisi e questa costantemente serve per termine e di là serro serro per quello era del fù Francesco di Vito cala la via, che và a Petruro, e poi cala per sopra li Valli di Petruro, ed esce al Montetto, dove si dice il Termine Rotto, e di là cala sierro sierro sopra la via, che va a Petruro, che vi stà altro termine, e di sopra la linea esce al Vallone si chiama Recupo, da sopra il territorio di Giulio Capozzo e cala per d[ett]o Vallone sino alla via pubblica, che và a Benevento.
Qui risaliva per via Vicinale, uscendo oltre il Salto, nel luogo detto La Pera, seu La Pantana, ove sta posto altro termine, e di la sbuca sulla via pubblica che va al Ponte d'Arcone.
Serra serra il confine prosegue per il Boschetto e sbuca a Pietra Amara, che è avanti la Taverna del Celso in Giurisdizione di Altavilla.
A Pietramara d'Altavilla il confine dell'Università del Tufo s'incatasta dal Vallone detto Recupo, e viene via via sino al Montetto del Capanaro e cala per detta strada pubblica sino a S.Stefano, risalendo per la via pubblica di S.Paolo che esce al Vallone di Salacino.
Da qui il confine risale con la via a Le Profichi ed esce al terzo termine dove si dice Cappella di Sette Grani.
In questo luogo, dal lato di sotto resta la Giurisdizione del Tufo e, andando verso sopra, comincia la Giurisdizione di Torrejoni.10
4. Il Doge eleva Franco Piatti Console di Napoli (1670) e Conte (1704)
I Consoli dei Mercanti della famiglia Piatti svolsero il loro ufficio per conto della Repubblica di Venezia con grande impegno all'estero, cioè anche nel Regno di Napoli. Francesco Piatti (1655-1732), in particolare, inviato a Napoli in qualità di Console della Serenissima, venne investito del titolo di Conte per il suo prestigio, dal Doge Mocenico, per sè e per i suoi legittimi discendenti con diploma del 28 giugno 1704.
Il titolo di cui fu insignito Francesco Piatti, seguito all'incarico consolare con l'insediamento a Napoli, fu convalidato dal Consiglio del Vicerè il 17 ottobre dello stesso anno.
Ecco le parole del diploma: Aloysius Mocenico Dei gratia Dux Venetiarum etc. Universis, et singulis Rappresentantibus, et ministris nostris, ad quos haec nostrae pervenerint significamus hodie in Consilio nostro Rogatorum captam fuisse partem tenoris infrascripti videlicet. Niente lascia desiderare di pontualità, fede, et habilità nell'esercitio delle proprie incombenze il fedel Francesco Piatti, che doppo più anni s'impiega in qualità di Console in Napoli con intiera sidisfazione, non solo de nationali, che colà esistono, ma di

questa piazza ancora, come pienamente risulta dalle giurate informationi del mag. de cinque Savii alla mercantia hora lette, et le lettere pure del dilettissimo nobile Nostro E.Giovan Francesco Morosini, Ambasciatore in Roma, fanno un amplo attestato del servitio fruttuoso, che egli va prestando nel sostenimento della carica, e particolarmente del merito dal medesimo conciliatosi molto distinto nell'interstitio di quella residenza, nel quale egli ha sempre assistito a quei sudditi in qualunque loro occorrenza, et preservato li privilegii immuni da pregiudizii, che si è tentato d'inferirli nella mancanza del pubblico Ministro, lasciati per tale effetto in abbandono li suoi interessi, et sostenuti quelli della natione, anche con esborsi del proprio.
E ancora: tutto ciò donando giusti motivi al Senato di contrasegnare al benemerito supplicante il gradimento, che se gli conviene, è d'estendere sopra d'esso alcun atto della munificenza publica, che vagli ad animarlo sempre maggiormente nel migliore servitio della Signoria nostra, ed in vantaggio della natione, et del commercio; l'anderà parte, che per atto della Publica benignità resti il fedel Francesco Piatti con suoi legittimi discendenti in perpetuo decorato col titolo di Conte, con tutte le preeminenze, privilegii, et immunità, che a tale grado convengono; da che apparisca la munificenza, et gradimento pubblico verso la benemerenza del supplicante stesso, ed egli riceva pure eccitamento di proseguire nei suoi fruttuosi impieghi all'occorrenza del nostro servitio.11
5. Il Console-Mercante Piatti compra il feudo di Torrioni e Tufo (1716)
Alla morte di Don Domenico Antonio del Tufo, fratello di Carlo, avvenuta il 3 aprile 1688, la Regia Corte, intimò all'ultimo fratello, Domenico del Tufo, di pagare il rilievo per il possesso del feudo di Tufo e Torrioni una ammonizione per il risarcimento di un debito di Ducati 199.9 giusta la significatoria à 12 Ott[ob]re 1694 contro l'Ill[ust]re D.Domenico del Tufo, Marchese della Terra del Tufo e suo Casale di Torrioni.
Il sospetto è che i del Tufo si fossero indebitati direttamente con i Piatti proprio per il commercio del vino, o dell'uva, diretto a Venezia. Ma non si conoscono i veri motivi. Si sa solo che, per qualche ragione, il successivo rilievo delle Terre fu pagato dal Console veneziano in Napoli Francesco Piatti (1655-1732), abitante nella Capitale dal 1670, da quando aveva cioè 15 anni. Il Console, già investito del titolo di Conte agli inizi del 1700, continuò a vivere in Napoli sposando Donna Giulia Recupido.
Di certo il Marchese Domenico del Tufo (28.12.1670-?), Patrizio di Aversa e Benevento, Barone di Tufo, con Torrioni dal 1688, vendette il feudo per debiti a Francesco Piatti con contratto datato in Napoli, 8 agosto 1716, per la somma di 49.000 ducati. L'istrumento fu stipulato dal notaio Giovanni Caruso di Napoli, e venne convalidato dal regio exequatur dell'Imperatore Carlo VI d'Austria con privilegio sottoscritto in Vienna il 14 novembre 1716, che ebbe l'esecutività al regio assenso dal Consiglio Collaterale napoletano, presieduto dal Conte di Teano Vicerè di Napoli, il 3 marzo 1717.
Perchè mai una persona così in vista, stimata dal Doge per i suoi sapienti affari in fatto di mercanzia, acquisì un feudo confiscato ai del Tufo, ormai pieni di debiti?
Pare di capire, che il Marchese del Tufo avesse contratto i debiti proprio con Piatti, prima che con il fisco della Camera della Sommaria, non avendo pagato le tasse riscosse ai cittadini. L'unica spiegazione dell'acquisto feudale potrebbe essere proprio nel fiuto del diplomatico mercante veneziano prevedendo i vantaggi che avrebbe potuto ricavarne dal commercio del vino. Dalle carte però, almeno fino ad ora, non v'è riscontro.
Così, mentre il Tribunale del Sacro Regio Consiglio, per saldare i debiti, venderà per 49.000 ducati la Terra di Tufo e quel Casale di Torrioni al Conte Francesco Piatti di patria Venetiano, ma accasato, et abitante in Napoli da 46 anni a questa parte (cioè 1716-46=dal 1670) con sua moglie, e figli, et ove possiede tutto il suo avere, come scrive il Ricca, l'altro suffeudo di Torrioni che era stato del Signor Camillo Caracciolo, quello legato al feudo di Toccanise, viene ricordato nel medesimo documento come la terza parte delle tre parti nelle mani di Vincenzo Conte: Et per l'altra terza parte di Terrajuni appare per detti cedularij andarne tassato Vincenzo Conte per la terza parte di Toccanise et terza parte di Terrajuni in 10.2.10.
Il Conte veneziano Francesco Piatti acquisì dunque la proprietà del feudo di Torrioni nel 1716. I Piatti manterranno il titolo per quasi cent'anni. Da Don Francesco il feudo fu ereditato da Don Giacomo Antonio, unitamente a quello di Tufo, in seguito alla morte del Conte Don Francesco, marito di Donna Giulia Ricupido, avvenuta il 27 gennaio 1732, in età d'anni 77 e fu sepolto nella Chiesa di S.Anna de' Lombardi, come attesterà il parroco di S.Liborio in Napoli.12
6. Il Conte Don Giacomo Antonio Piatti accusa resistenze sull'eredità
Nell'ottobre del 1732, il procuratore del figlio del Conte Don Giacomo Antonio Piatti (...-1751), erede legittimo di Don Francesco ed odierno Possessore della terra del Tufo e Casale di Torrioni, pagate tutte le tasse, si recava direttamente alla Camera della Sommaria per non essere più molestato ed altro pagamento per detta causa, e spedirsi a beneficio del medesimo la debita investitura di d[ett]i feudi.
Il Procuratore asserisce alla Regia Camera che essendosene sotto il dì 27 Gennaro del corrente anno 1732, passato da questa à miglior vita il fù Conte D.Francesco Piatti olim Possessore de' Feudi sudetti, del quale n'è stato detto suo Principale dichiarato figlio legittimo, e naturale, et erede universale, anco ne' beni feudali in virtù di decreto di preambolo interposto per la Vicaria, copia del quale produce.
Ma qualcosa andò in ogni caso storto perchè la Camera intimava di pagare anche vecchi debiti, ancora quelli contratti a suo tempo dai del Tufo, in quanto il procuratore sottolineava che titrovandosi per l'espressati feudi in esecuzione dell'ordini dell'anno 1708 anticipatamente pagato il Relevo, giusta la fede fattane dal M[agnifi]co Raz[iona]le Cam[era]rio, che parimente presenta; denunciando perciò d[ett]a morte infrà leg[itti]ma tempora, e stante il sud[dett]o pagamento del Relevio

anticipato, fà istanza di non essere d[ett]o suo Principale molestato ed altro pagamento per detta causa, e spedirsi a beneficio del medesimo la debita investitura di d[ett]i feudi, e notarsi il tutto dove conviene per sua futura cautela, e così dice, e fà istanza non solo in questo, ma in ogni altro modo migliore.13
7. Don Giacomo diviene Marchese possessore del feudo (1732-1751)
I Conti Piatti mantennero il titolo per quasi cento anni, cominciando con Francesco, dal 1716 al 1732, e Giacomantonio, dal 1732 al 1751, il quale, ufficializzato il 19 febbraio 1732 nel possesso dei feudi, per i quali pagò rilievo (seppure in ritardo), potè accorpare nuovamente Tufo, dichiarandosi, oltre che Conte, anche Marchese di Tufo e dei 2/3 di Torrioni, e facendosi pagare le solite tasse (dalla Mastrodattia, a quella su capre, pecore e altri animali).
Al feudatario, infatti, nonostante l'Università comunale avesse acquistato la riscossione di alcune tasse, i cittadini continueranno a pagare i balzelli sulla mastrodattia, il pascolo delle capre e delle pecore e il possesso di altri animali, così come ancora accadeva ai tempi della redazione del Catasto Onciario del 1742.
L'Illustre possessore Don Giacomo Piatti, Marchese del Tufo e di Torrioni, era proprietario di molti beni quando il figliolo Don Pasquale era ancora piccolo.
Dal Catasto Onciario di Torrioni rileviamo che era di sua proprietà una selva cedua, un territorio boscoso di 73 ettari, macchioso, solito a tagliarsi ogni quattro anni, confinante con il magnifico notar Ciampi ed il vallone; oltre un altro fondo confinante con Don Luca Morano.
Molte le sue rendite, a causa di censi enfiteutici e redditi perpetui sopra i terreni ed altro esistentino in suolo burgensatico in questo suddetto Castello. I primi 19 ducati e 20 grane li esigeva da particolari cittadini e droghieri; 4 ducati e 9 tornesi rappresentavano invece l'annua rendita entrante da diversi particolari cittadini.
8. Le Terre amministrate dal Governatore della Camera Marchesale
Le tre famiglie principali alle dirette dipendenze della Camera Marchesale di Torrioni, che comprendeva anche la Corte dei giurati per l'amministrazione della giustizia, erano: di Vito, Ferraro, Oliviero e Lepore. Altri soldi, stando sempre al Catasto Onciari torrionese, gli venivano infatti dall'affitto dei

somari ad uso lavoratura, dati uno a testa, solo a Matteo di Vito, Giacomo Ferraro, Ciriaco Oliviero e Giovanni Lepore. Qualche pagamento poi lo faceva anche il Marchese in quanto, ogni anno, pagava di tasca sua 25 ducati per l'erario, 20 per la provigione del Governatore, 36 per il Guardiano e 12 al Giurato per servizio della Corte.15
Va detto che Don Giacomo istituì una Camera Marchesale locale che amministrava le tasse dei sudditi di Torrioni e Tufo ed una Corte per l'amministrazione della giustizia.
Essa era quindi composta da un Governatore, un Guardiano ed un Giurato al loro servizio. Infatti, l'Illustre possessore D.Giacomo Antonio Piatti, Marchese del Tufo, e Torrjoni, possiede l'infratti corpi feudali, cioè tutti i servizi che dovevano essergli pagati sotto forma di ulteriori tasse, garantite dal Giurato, affidate al Guardiano e amministrate dal Governatore.
Erano, per esempio, di proprietà del feudatario la mastrodattia civile, e criminale con la bagliva e la fida de capre, e pecore, ed altri animali forastieri.
Spettava di diritto al Marchese anche la tassa sulla famiglia, cioè sul fuocatico, ovvero sul nucleo, il fuoco; 30 ducati e 50 grane gli entravano su due de fiscali sopra l'Università, altri 6 per ciaschedun fuoco.
Ogni famiglia, nel giorno di Pasqua, gli doveva inoltre 2 uova, cioè 2 ova a fuoco, oltre l'eventuale cappone di Natale.
Il Marchese Piatti aveva comprato anche la riscossione dei fiscali sui fondi dati in enfiteusi da altri feudatari della zona: a lui dovevano pagare la tassa sul fuoco gli abitanti che ricadevano nei fondi dei nobili forestieri presenti sul territorio di Torrioni. Don Giacomo aveva comprato la riscossione di 10 ducati annui dalli signori di Toccanisi, Marchese di Molina, e Longarini e Barone di Toccanisi. Altri beni di sua proprietà erano il bosco di Bagnolo e quello di Nassano, per li quali esigge ducati a trasso.16
Abbiamo la certezza che in questi anni Torrioni fosse una Università comunale indipendente, ossia un comune con Giurisdizione propria, e si appellasse Castro Torrionum in latino, italianizzato negli atti notarili in Castello di Torroioni.
Un istrumento parla della vendita di un Caselino diruto, poi anche detto Casalino, posto in detto Castello nel luogo dove si dice Toro. Lo comprava da Sabato Oliviero, spendendo sei ducati in carlini d'argento, Biaso Oliviero, dopo un apprezzo di mastro Gennaro d'Agostino, fabbricatore di detto Castello esperto comunemente eletto.
Era il 9 settembre del 1745. Il giorno dopo sono registrati altri due abitanti di Torrioni, per la vendita di un orticello, Marco e Carlo Romano. Nello stesso dì, si parla di Domenico e Lorenzo Lepore, rispettivamente padre e figlio, che cedevano ai fratelli Cennerazzo un terreno da coltivare. Era un fondo che possedevano per titulo di cenzo enfiteutico perpetuo, ricevuto dall'Illustre Don Giacomo Antonio Piatti, Marchese del Tufo e Torroioni. Più specificatamente si tratta di una selvacedua di 5 tomola, in località Montenegro, sita nelle pertinenze del paese, confinante con i beni di Domenico D'Avella, Giovanni Romano e Carlo Romano, per un canone annuo di 21 carlini e 4 grane. L'istrumento, redatto da Carlo Fasulo, magnifico notare della Terra di Prata, registra la concessione del terreno da parte del marchese col solito sistema dell'enfiteusi.17
Il signore cioè, così come aveva fatto con gli altri contadini, cedeva la terra ai Lepore in cambio di un annuo censo con l'obbligo di coltivarla ma, evidentemente, con la possibilità di poter cedere il censo ad altri. Un fatto in veritià un po' anomalo rispetto ad altri paesi dove il censuario era obbligato a coltivare i terreni che non erano di sua proprietà e quindi non poteva né vendere né alienare. E il motivo per il quale i Lepore si disfacevano di parte dell'obbligo di pagare il censo e di parte del terreno era quello di non poter sostenere il peso del pagamento, né quello di custodire il fondo, e per questo la cessione, essendosi stata richiesta da detti fratelli Cennerazzo a cederli la metà di detta selva cedua mediante il pagamento di mezzato del canone. Dopo aver letto tutto il documento le cose appaiono più chiare: i Lepore non potevano vendere il fondo, ma avevano la possibilità di cedere metà del censo liberandosi dell'intero onere.
Don Giacomo Antonio Piatti, da feudatario proprietario, dovette comunque essere un signore alquanto 'liberale'.18
Di due componenti la famiglia Lepore, Giovanni e Nicola, si parla in un altro rogito di qualche giorno dopo. Il 26 settembre, infatti, i due Lepore, questa volta non censuari, ma veri signori e padroni di un territorio con 6 alberi di olive nelle pertinenze del Castello di Torrioni, quindi entro il suo perimetro, nel luogo detto Piedi Casale, confinante con i beni di Lorenzo Pascale ed altri fondi dei Lepore e di Giovanni Romano, vendono liberamente la loro proprietà.
Ecco uno stralcio dell'atto: Franco, libero, ed esente il territorio predetto come sopra descritto, e confinato da tutti, e qualsivogliono pesi, cenzi jussicapioni, fidejussioni, condizionali, parificari, o parificandi, debbiti, legati, l'audemio tanto al presente quanto per il passato, ed riscinsero pagamento, concessione, obbligo, ippoteca, prestazione, ed ogni e altra e loro peso che fosse se ne dovesse fare speciale menzione, ò imputarsene scienza, ò novizia, e da qualsivoglia vendita, alienazione forse fatte per il passato, con patto di ricomprare, ò senza, et alias per comodocenzire..., da qualsivoglia vingolo, prevazione, condizione, sequestro, o lite in amplissima forma eccetto però de reddito perpetuo de soli tornesi 5 che deve alla Camera Marchesale di detto Castello siccome dalla Platea. E fatta l'asserita predetta, l'anzidescritti padre e figlio di Lepore spontaneamente oggi predetto giorno non per forza, o dole alcuna, ma per ogni modo migliore, e per alcune loro necessità, ed occorrenza, e perché così li è piaciuto, e piace, liberamente, e senza patto di ricomprare hanno venduto, vendeno, et alverranno per titulo di vendita, ed alienazione predetta per fustem sue quasi iure proprio, et in perpetuem hanno dato, danno, cedeno, e ricomincino al detto Alesandro presente, accettante e bona fedelmente il detto territorio come sopra descritto, e confinato, e con tutte, e singole raggioni.19
9. Don Pasquale Piatti erede e nuovo Barone di Torrioni (1751)
L'illustre Conte Don Giacomo Antonio Piatti fu anche l'ultimo Marchese del Tufo, possessore di Terra Tufi et duabus partibus Casalis Terrejuni dal 1732 al 1751, in quanto passò a miglior vita il 30 Agosto di quell'anno, come dalla fede fattane dal R[everend]o Paroco di S.Maria del Soccorso all'Arenella in pertinenza di Napoli N.2, di quello per decreto di preambolo intrposto per la G.[ran] Corte della Vic[ari]a in data de' 17 D[ice]mbre corrente anno n'è stato il suddetto Ill[ust]re Marchese del Tufo D.Pasquale Piatti dichiarato figlio et erede vule e particolare ex testamento in bonis feudalibus et titulatiij come dalla fade fattane dall'Att[ua]rio di V[icari]a Michel'Angelo de' Vito N.3.
Se diversi forestieri possederono terre in territorio di Torrioni è anche vero il contrario, cioè che molte famiglie di Torrioni possedevano beni, specie a Tufo. Questo perchè, come vedremo, fu lo stesso Barone di Torrioni, il Conte Don Pasquale Piatti, Barone di Torrioni, a concederglieli in cambio di un

annuo reddito, cioè a censo. Un nobile che si definisce Ecc[ellentissi]mo Sig[no]r D[on] Pasquale Conte Piatti Marchese del Tufo Barone di Torrejoni, patrizio beneventano privileggiato napolitano Ill[ustr]e possessore di questa T[err]ra del Tufo, e Castello di Torrejoni.20
Il documento fu stilato, evidentemente, soprattutto per assegnare ai cittadini di Torrioni delle terre più fertili, sebbene in territorio di Tufo, altro feudo di proprietà dello stesso Barone, in quanto l'intestazione precisa è: Censi seu annui redditi si esiggono da particolari di Torrejoni per concessione di territori in pertinenza del Tufo, come distintamente si descrivono ut infra. In questo caso si tratta quindi di beni del feudatario. Vale la pena di ricordare che i forestieri censuari dei beni posseduti in Tufo dal Barone, quasi tutti di Torrioni, in territorio del Piatti, producono un reddito imponibile pari a once 2.140.11 e 5/12.
Fra essi si distinguono un Lepore, un dell'Abbate ed un Centrella, i quali, essendo benestanti e non dovendo pagare tassa alcuna, non superano le 15 once ciascuno.
Si tratta di terre date dal barone a Giuseppe Lepore a Piano, Giacchino Lepere a Piano, Angiolo Oliviero a Piano, Francesco dell'Abbate a S.Stefano, seu Vallo dell'Asino, Andrea dell'Abbate a S.Stefano seu Vallo dell'Asino, Domenico Lepere a S.Stefano, Michele Di Vito a Capanaro, Matteo di Vito a Torre de Lento, Pietro di Vito a S.Stefano, Giovanni di Vito a Torre de Lenti, Nicolò di Vito a S.Stefano. Vi sono poi altri piccoli fondi che Piatti ha assegnato a censo ad altri forestieri come Giuseppe Sarracino di S.Angiolo à Scala a S.Stefano, Felice Barone di Ceppaloni a S.Stefano, Crescenzo Zoina a Capo.Nero e Vallo dell'Asino, Giovanni Centrella a Vallo dell'Asino, Francesco Zoina a Vallo dell'Asino, Pietro Zoina di Monte Rocchetto a S.Stefano, Pietro Oliviero a La Pagana a La Pantana, Sabbato Oliviero a La Pantana e a La Pagana, Crescenzo Oliviero a La Pagana e a La Pantana, Bernardino Avella a La Pantana, Angelo Garofalo a Li Marianielli, a S.Stefano e a Capanaro, Antonio Cennerazzo a La Pagana, Donato Oliviero a S.Stefano, Carmine Oliviero a S.Stefano, gli eredi di Nicola Sabbato a S.Stefano, Lorenzo Centrella a Li Manganielli, Simone Iommazzo a Capanaro, Nicola Oliviero a La Pantana, Nicola Saracino a Piano.
In Giurisdizione di Tufo ha chiesto beni al Barone perfino la Chiesa Parrocchiale di Torrejoni per un territorio seminatorio a La Pagana, oltre Lorenzo Lepere che lo tiene a Li Pellegrini.
Nello stesso documento vengono quindi elencati l'infrascritti Corpi Feudali, ch'esso Signor Conte D.Pasquale Piatti Marchese del Tufo, e Barone del Castello di Torrejoni, possiede in q[ue]sta sud[dett]a T[err]a [del Tufo].
E' interessante notare che i cittadini di Tufo, a prescindere dal peso fiscale dei torrionesi forestieri ivi presenti, hanno da pagare, oltre quelle conosiute, un'infinità di tasse, come il Molino, le Prime e seconde cause, lo Jus Scannagi (macellazione), quella sulla Taverna con Passo (almeno in un luogo del territorio), il Forno, la Mastrodattìa civile, criminale e bagliva.
Il Barone di Torrioni, dal canto suo, in Tufo possiede numerosi beni, fra cui il Palazzo Marchesale, col suo rivellino, e giardino attorno, con magazzino, dove si ripongono le vittovaglie che si raccolgono nel feudo, che gli servono per uso proprio; e i territori di: Li Limiti, S.Lucia, e Bosco del Serrone, La Mela, e San Paolo, A Chiaviniano, la Corte di Giovan farina per uso del Molino. Si aggiungano inoltre la Fida delle Capre e Pecore ed altri animali forastieri fiscali in d[ett]a Terra, Grani sei per ogni fuoco nella medesima Terra, il Giardino sopra La Taverna, e perfino il cappone il giorno di Capo d'anno tenuto dare l'Università all'Illustre Signor Marchese.
Oltre questi ha preteso i diritti su prete, chiesa, nomina dei sindaci e vendita del vino, gualchiera ed altri redditi minuti: Jus patronato dell'Arcipretura, Jus patronato della Chiesa Arcipretale, Jus di eligere [i sindaci] due delle quattro persone nominate in Pubblico Parlamento per Eletti, Sindaci dell'Università suddetta, lo Jus proibendi [sul vino] nel mese di agosto à cittadini di vendere vino, avendo egli solo la facoltà di far vendere il vino a minuto nella sua cantina, Balchiera col pargo.
Senza aggiungere i proventi dovuti dai censuati di Santa Paolina e dal Principe della Riccia per l'appoggio della Palata nel fiume Sabbato in giurisdizione del'esso Ecc[ellentissi]mo Sig[gnor] Marchese annui docati trenta.
Per la maggior parte, dunque, si tratta di torrionesi che, ovviamente, nel Catasto di Tufo, sono considerati forestieri bonatenenti non abitanti restando la loro dimora in Torrioni.21
Ma in quel Catasto di Tufo vengono riportate anche le famiglie di forastieri che si sono definitavemente insediate in quel paese. Sono solo due: Alessandro Oliviero di Torrioni che abita nel logo detto Monnezzaro e Giovanni di Pierro.22
Sempre a Tufo vi sono poi decine di torrionesi non residenti, quindi considerati forestieri, cioè non abitanti laici, in quanto possessori di beni per i quali debbono pagare altre once, fra cui Ciriaco di Vito con beni a S.Stefano e Ripafavale, Crescenzo Oliviero con la madre Angiola de Lo Franco, Giuseppe Lepore con terre a Piano,Gennaio Cennerazzo col vitato a Padule e Onofrio di Vito con le viti di S.Stefano, oltre Gioacchino Lepore che appare l'unico benestante pagando per oltre 42 once.23
Una bella eredità per il barone Don Pasquale Piatti, il quale, nel 1751, litigò con il Monte della Misericordia, circa per le spettanze sulla buonatenenza di alcuni cittadini di Montefusco per il possesso di un fondo nel Casale di Santa Paolina.
Don Pasquale fu un uomo rigido anche con gli eredi della famiglia Ferraro, nipoti dell'erario per l'amministrazione del feudo di Torrioni, che permisero ai Padri Scolopi di Benevento di continuare la causa per il mancato pagamento di un debito di 205 ducati contratto con i monaci, provocando l'intervento della Regia Udienza di Montefusco con l'atto di sequestro emesso accogliendo l'istanza del procuratore degli monaci. I nipoti dell'erario feudale, ai quali toccava il pagamento dell'annualità, non avevano pagato il debito sostenendo che fosse a carico di Don Paquale Piatti, marchese delle Terre di Tufo e Torrioni. Ma i tributi, in nome del feudatario li avevano però riscossi i Ferraro i quali si ritrovarono quindi coinvolti nella causa.
Fra le intestazioni feudali dei registri dell'Archivio di Napoli, infatti, seguono citazioni su Pasquale Piatti, pro Terra Tufi et duabus partibus Casalis Torrejuni del 1754. I beni passarono nelle mani del figlio, il Marchese del Tufo D.Pasquale Piatti, persona corretta nei riguardi della Corte Regia in merito alle spettanze dovute per l'intestazione feudale in quanto, certificava nel 1751 il razionale Valente, non occorre riferire altra cosa in contrario, per essersi anco pagato... il deritto delli Tappeti in summa de' D.30.5 per lo B.[anc]o del SS.mo Salv.[ato]re. Pertanto D.Paschalis Piatti: / Prò / Terra Tufi et duabus Tertij partibus Casalis Torrejuni paga ducati 16.4.5. e, 2.4.12 e 1/6, per la Iurisd.[itio]ne 2da p'te Terre, et dua tertia parti Casalis p'eti.24

Il Conte Don Pasquale riceverà il titolo di Marchese di Torrioni e Tufo con decreto della Gran Corte della Vicaria il 17 settembre 1751, alla morte del padre avvenuta il 30 agosto, trasformandolo in quello di Barone, come descritto nei documenti della controversia con il Monte della Misericordia, circa le spettanze sulla Bonatenenza su un fondo di Montefusco in territorio del Casale di Santa Paolina. Don Pasquale fu un uomo duro, ma non da meno dovettero essere i Padri Scolopi di Benevento, quando se la presero con i fratelli Ferrara del Castello di Torrioni per il mancato pagamento di un debito contratto di 205 ducati facendogli sequestrare i beni dalla Regia Udienza di Montefusco per istanza del loro procuratore. I nipoti del Ferraro, chiamati in causa perchè esercitavano l'ufficio di erari, quindi di riscossione dei tributi che i cittadini dovevano al feudatario, non avevano pagato la somma richiesta perchè ritenevano doversi sborsare da Don Pasquale Piatti, Marchese delle Terre di Tufo e del Castello di Torrjoni.
Da qui la disputa infinita mentre i Piatti terranno il feudo fino alla morte di Don Pasquale, avvenuta il 29 maggio 1790 senza prole, lasciando che i feudi passassero alla Marchesa Donna Rosa Piatti, sua sorella.25
10. Il Console Alessandro a Bergamo e Genova, Torrioni va a Donna Rosa
Il nome di Alessandro Piatti ricompare negli Atti dell'Officio delle vittovaglie e paratici di Bergamo del 1778 e 1779 in qualità di Giudice alle vettovaglie.26
Come pure negli Atti dei giudici delle vettovaglie e del comitato alle vettovaglie fra il 1768 e il 1805 per rilasciare licenze, suppliche, calmieri, decreti, nomine conferme e destituzioni dalla carica di cavaliere di comune, fante e difensore fiscale, informazioni sui prezzi delle varie qualità di formaggio in circolazione sul mercato.27
Don Alessandro accresceva quindi il suo potere, comprando e vendendo nuove abitazioni, grazie al flusso monetario, fra crediti, operazioni di cambio ed altro, che gli vengono attribuire in quegli anni. Il 30 agosto 1778 è lui il Nob. Sigg. Alessandro Piatti q. Gio. Giacomo quando si fece intestare in suo nome da quello di Nicolin Noris q. Alessandro una casa al Ponte Noris per andar in Biri, ed altre ancora in Venezia, in esso pervenute per il testamento del q. sud. Nicolin Noris 2 luglio 1778.28
Nel frattempo, in Principato Ultra, nel 1790, cambia ancora qualcosa al vertice feudale e amministrativo in quanto il feudo di Torrioni fu rilevato da Donna Rosa Piatti, sorella del defunto e moglie di Giovanni I Capobianco, divenuti Marchesi di Carife dal 1646.
Donna Rosa donerà la Terra di Tufo e le due porzioni di Torrioni al Marchese di Carife, Giovanni Capobianco, suo figliolo primogenito, ricevendo l'ultima intestazione feudale, in seguito al privilegio regio del 1791, il 13 marzo 1794, dando origine al ramo dei Marchesi di Carife e Baronia di Prata che, come ricorda il Ricca, litigò non poco con il Comune di Tufo.
11. Rosa sposa Gio' Capobianco di Benevento e dona Torrioni al figlio
Tralasciando qualche altro contadino di tal nome che viveva ad Avellino, sfogliando il Catasto Onciario avellinese, non si può invece soprassedere sul Magnifico Antonio Capobianco della Terra di Pietra Castagnara il quale possedeva un'annua rendita avellinese da 20 once. Vale la pena di ricordare che Pietra Castagnara è riconducibile ad una zona di Pietrastornina, da non confondersi con Grotta Castagnara, cioè Grottolella.
I Capobianco di Benevento possedevano il titolo di Marchesi di Carife da quando Laura Ciaccio, divenuta vedova del beneventano Francesco Capobianco, acquisì la Signoria di quelle terre, donando il titolo al figlio Giuseppe (1684). Questo sfortunato Signore, a sua volta, era morto insieme ai figli dieci anni dopo, travolto dal terremoto del 1694: Carifi nella stessa forma, e fra morti si conta quel Marchese di casa Capobianco colla moglie e figli, oltre a due altri figli del Duca di Colle Corvino, Miro.
Da qui forse la decisione dei restanti parenti di abitare più in Benevento che a Carife, pur continuando a possedere quel feudo e ad incamerare le rendite.29
C'è da aggiungere che, pochi anni prima del sisma, si era trasferito da Monte Miletto ad Apice anche un Gioacchino Capobianco di 25 anni. Ma questi sembra appartenere ad un ramo povero della famiglia, abitando gratis in casa del suocero con la moglie Teresa Trojsi.30
In ogni caso, anche Torrioni passò, a sua volta, come dote di Donna Rosa, nelle mani dei nuovi possessori del titolo di Marchesi di Carife nel 1790. Con approvazione regia, fu ella stessa a donarlo al figlio, Giovanni Capobianco di Benevento, poi succeduto nel possesso del titolo di Marchese di Carife.31
I Capobianco, quindi, tennero il feudo non con Giovanni I, che scomparve nel 1800, quando gli successe Raffaele Capobianco, ma con Giovanni II Capobianco (1806), che il Ricca confonde con il nonno Giovanni I, sostenendo comunque che tal Giovanni ebbe nel Regio Cedolario l'ultima intestazione della terra di Tufo e di due delle tre porzioni del Casale di Torrioni nel 1794, cioè dodici anni prima dell'abolizione della feudalità ad opera dei Francesci nel 1806.32
Ma Giovanni Capobianco, ultimo signore della Terra, continuò a possedere 4 territori privati calcolati in un valore di D.96,65 nel successivo Catasto napoleonico. Nel medesimo Catasto Provvisorio, oltre Giovanni, possiede quello che potrebbe essere il Cav[alier]e Giuseppe in Benevento al quale tocca però solo un territorio incolto da D.0,1.
Nessun Capobianco abitò mai in Torrioni.
12. I banchieri Domenico e Antonio Piatti giustiziati nel 1799
C'è da dire che prima della cessione ai Capobianco, i Piatti della Repubblica di Venenzia, ma Patrizi Beneventani, e per questo Cittadini Napoletani Privilegiati, si estinguono. Anche perchè gli ultimi discendenti verrano giustiziati dai Borbone per aver preso parte alla nascita della Repubblica Partenopea.
I Piatti erano fra i più ricchi borghesi di Napoli. Domenico e Antonio, padre e figlio, fomentarono e finanziarono la Repubblica del 1799, venendo definiti come i banchieri. I loro nomi, Domenico (1746-Napoli, 21.8.1799) e Antonio (1771-Napoli, 21.8.1799), si trovano citati in alcuni documenti dell'epoca.
Una notizia da cui si apprende che i Piatti erano tesorieri della Repubblica Napoletana viene dal Monitore del 9 maggio 1799 in cui si cita Antonio Piatti quale custode delle paghe che dovranno essere distribuite ad ufficiali e patriotri feriti.33
Note Capitolo Primo

1. Questo il ramo dei Piatti di Fusine:

Giovanni
/
Gaspare (1560 ca.)- Baldassarre (1650ca.)
/
Giovanni Domenico (1630 ca.)
/
Alessandro (ca.1670)
/
Antonio (ca.1690) detto Sandrinello di Foloppolo
/ /
Giovanni Batt. (ca.1680) detto Scadunine - Carlo Giovanni (ca.1720) -
/ /
Alessandro detto Sandrinoni di Foloppolo Giovanni Pietro (1660 ca.)
/ /
Pietro Maria Matteo di Fusine (1690ca.)
Dal sito: www.provincia.so.it/cultura/archiviStorici/testi/archivi/fusine/FUSEU8.htm
474. "Locazione concessa ad Antonio quondam Giovanni Piatto, Pietro Maria Piatti detti Sandrinelli ed Antonio Maria Cattaneo rogata dal sudetto signor Piatti". "Dordona". 1727 agosto 27, Fusine "in coquina aedium solitae habitationis meae". Bernardo Frattini fu Giovanni Pietro, decano del comune di Fusine e i sindici delle quadre di Valmadre, del Monte e del Madrasco, concedono in locazione novennale ad Antonio Piatti fu Giovanni detto Sandrinelli di Foppolo il diritto di pascolo e di erbatico sulla metà del monte Dordona e a Pietro Maria Piatti fu Alessandro detto Sandrinoni di Foppolo, a Antonio Maria Cattaneus fu Giovanni Battista di Vallevi, il diritto di pascolo e di erbatico sulla restante metà del predetto monte. Notaio di Fusine Matteo Piatti fu Giovanni di Fusine.
495. "Locazione concessa ad Antonio Piatti Sandrinello e Bernardo Moretto rogata dal signor Matteo Francesco Baraglia". "Dordona". 1757 agosto 1, Fusine "in studio aedium solitae habitationis domini Mattei Platti filius...". Giuseppe Scarinzi de Pezzabella fu Antonio Maria, decano del comune di Fusine, i sindici delle quadre di Valmadre e del Monte e i deputati del medesimo comune, concedono in locazione novennale a Carlo Giovanni Piatti, agente come amministratore di suo padre Antonio Piatti fu Giovanni detto Sandrinello, e a Bernardo Morettus fu Giovanni Domenico, tutti di Foppolo, il monte Dordona, per un canone annuo di 108 filippi d'argento. Notaio di Fusine Matteo Francesco Baraglia fu Carlo di Mello, abitante a Fusine.
501. "Locazione concessa a Gasparo quondam Giovanni Piatti per rogito del signor Vincenzo Quadrio". "Dordona". 1587 ottobre 2, Colorina "in contrada del pendullo". Giuseppe del Pratello fu Alberto di Fusine, decano del comune di Fusine, i sindici e i deputati delle quadre del Monte, di Valmadre e "versus Madraschum " e il sindico della quadra "versus Burgum", concedono in locazione quinquennale a Gaspare Piatti fu Giovanni di Foppolo, il diritto di pascolo sul monte Dordona, al canone annuo di scudi 250 d'oro. Notaio di Fusine Pietro Antonio Valrossa di Fusine. Copia autentica, 1590 luglio 20, notaio di [Fusine] Giovanni Paolo de Paganis fu Giovanni Giorgio di Poschiavo.
502. "Locazione concessa a Giovanni Pietro e Giovanni Battista quondam Domenico Pizzino rogata dal signor Matteo Piatti". "Vitalengo". 1727 febbraio 3, Fusine "in hippocausto aedium habitationis meae"
Domenico Masottus fu Rocco, decano del comune di Fusine per il 1726 e i sindici delle quadre di Valmadre e del Monte, concedono in locazione novennale a Giovanni Pietro Pizzini fu Domenico di Fusine, agente anche a nome del fratello Giovanni Battista, il diritto di pascolo e di erbatico sul monte Vitalengo di Fusine, al canone annuo di 29 filippi d'argento, oppure di rilevare il debito del comune verso gli eredi del vicario di valle Antonio Saliceus de Solio, con la fideiussione di Pietro Vanini del Ruinale fu Antonio di Valmadre, contrada di Fusine. Notaio di Fusine Matteo Piatti fu Giovanni di Fusine.
503. "Locazione concessa a Pietro quondam Antonio Vanino del Ruinale sottoscritta da detto signor Piatti". "Campremeri". 1751 giugno 17, [Fusine]. Lorenzo Scarinzi fu Matteo, decano della comunità di Fusine, concede in locazione per anni sei a Pietro Vanino del Ruinale fu Antonio di Fusine, il monte di "Campremarii", al canone annuo di lire 11 e soldi 4 imperiali. Notaio di Fusine Matteo Piatti, sottoscrittore.
512. "5 confessi fatti a nome della comunità alli montisti d'aver ricevuto dalli medesimi li confessi fatti a detti montisti per il buttiro da essi loro pagato alli compatroni del livello incombente sopra li monti sudetti". 1716 settembre 13 - 1724 agosto 10. Confessi rilasciati dai decani della comunità di Fusine e dal cancelliere della comunità stessa, Giovanni Pietro Piatti, verso i montisti dei monti Campo e Valbona per aver ricevuto tutti i confessi del burro che i detti montisti pagano, a nome della comunità, a diversi.
513. "33 confessi fatti a nome della comunità alli montisti di Campo e Valbona a conto del fitto sopra detti monti"(1). 1700 settembre 7 - 1730 agosto 11. Confessi rilasciati dai decani della comunità di Fusine e dal notaio di Fusine Matteo Piatti, a nome della stessa comunità, verso i montisti dei monti Campo, Dordona e Valbona per il fitto annuo da essi pagato nelle locazioni dei monti.
519. "Instrumentum locationis"(1). 1652 luglio 15, Fusine "in lobio domorum predicti illustrissimi domini Antonii". Giovanni Boscius de Pezzabella fu Giovanni, decano della comunità di Fusine, e i sindici delle quadre di Valmadre, Monte e Madrasco, concedono in locazione per sette anni a Gelmina Morettus fu Giovanni Pietro di Foppolo, agente a nome suo e del fratello, ed a Nicola Paghinus fu Giovanni di Foppolo, agente a nome suo e del fatello Antonio, l'alpeggio sul monte Dordona nel territorio di Fusine al canone annuo di lire 1105 imperiali. Notaio di Fusine Giovanni Domenico Piatti. Copia autentica, 1768 febbraio 24, notaio di Fusine Matteo Francesco Baraglia fu Carlo di Mello, abitante a Fusine.
527. "Instrumentum locationis"(1). 1675 settembre 23, Fusine "in platea publica". Giovanni Pietro De Maestri fu Simone, decano della comunità di Fusine e i sindici delle quadre di Valmadre, del Monte e del Madrasco, concedono in locazione novennale a Giovanni Morettus fu Giovanni Pietro di Foppolo, il monte o alpe Vitalengo, al canone di lire 390 imperiali di moneta longa. Notaio di Fusine Baldassarre Piatti di Fusine. Copia autentica, 1765 gennaio 24, notaio di Fusine Matteo Francesco Baraglia fu Carlo di Mello, abitante a Fusine.
529. "Instrumentum locationis"(1). 1686 luglio 6, Fusine "in platea publica". Giovanni Domenico Cressino fu Andrea, decano della comunità di Fusine, i sindici delle quadre di Valmadre, del Monte e del Madrasco, concedono in locazione novennale a Giacomo Mazzolettus fu Bernardo detto Bugada di Foppolo, stipulante anche a nome di suo fratello Pietro, il monte o alpe Campo, sito in Valmadre, al canone annuo di 1300 imperiali di moneta longa. Notaio di Fusine Giovanni Pietro Piatti di Fusine. Copia, 1770 agosto 3, notaio di Fusine Matteo Francesco Baraglia fu Carlo di Mello, abitante a Fusine.
530. Instrumentum locationis.1698 settembre 15, Fusine "in aula aedium habitationis meae" Cristoforo Vanini del Ruinale fu Pietro, decano del comune di Fusine e i sindici delle quadre di Valmadre, del Monte e del Madrasco, concedono in locazione novennale a Giovanni Scaravattus fu Carlo di Cambrembo, frazione di Valleve, agente anche a nome dei fratelli, le alpi o monti Forno e Vallecervia, del territorio di Fusine, al canone annuo di 1430 lire imperiali, con l'interesse del 5 per cento nel caso di ritardo dei pagamenti. Notaio di Fusine Giovanni Pietro Piatti di Fusine. Copia semplice, 1770 agosto 3, notaio di Fusine Matteo Francesco Baraglia fu Carlo di Mello, abitante a Fusine.
531. "Instrumentum locationis"(1). 1750 dicembre 12, Fusine "in hippocausto aedium solitae habitationis mee". Lorenzo Scarinzi de Planis fu Matteo, decano della comunità di Fusine, i sindici delle quadre di Valmadre e del Monte e i deputati, concedono in locazione novennale, iniziando dall'anno 1752, a Giuseppe Baracchus fu Antonio di Fusine, stipulante a nome di Andrea Ambrosionus e Gaspare de Sancis, il diritto di pascolo sui monti o alpi Campo e Valbona, al canone annuo di lire 1520 imperiali. Notaio di Fusine Matteo Piatti di Fusine. Copia autentica, 1761 giugno 9, notaio di Fusine Matteo Francesco Baraglia fu Carlo di Mello, abitante a Fusine.
458. "Locazione concessa a Raimondo Frattino delle Fusine rogata dal signor Giovanni Domenico Piatti". Vitalengo. 1659 aprile 17, Fusine "in stupha nova aedium habitationis mee". Pietro Bardea fu Simone, sostituto di Giovanni de Pezzabella fu Domenico, decano del comune di Fusine, con i sindici delle quadre di Valmadre, del Monte e del Madrasco concedono in locazione novennale a Raimondino Frattini de Pezzabella fu Bernardo di Fusine, agente anche a nome dei suoi fratelli Bernardo e Matteo, il monte o alpe Vitalengo, sito nel territorio di Fusine in Valmadre, per un canone annuo di 50 monete longhe d'oro. Notaio Giovanni Domenico Piatti fu Baldassarre di Fusine.
460. Locazione concessa al signor Giovanni Battista Cattaneo de Convento Val Brambana rogata dal signor Baldassarre Piatti. Dordona non ha auto effetto. 1686 luglio 8, Fusine "in platte publica". Giovanni Domenico Cressini fu Andrea, decano del comune di Fusine, e i sindici delle quadre di Valmadre, del Monte, del Madrasco, concedono in locazione novennale a Giovanni Battista Catthaneus fu Giacomo de Convento, agente anche a nome del fratello Giorgio, e a Giovanni Mazolettus fu Giovanni Pietro, ambo del territorio di Bergamo, il diritto di alpeggiare sul monte Dordona nel territorio di Fusine, al canone annuo di 1450 lire imperiali in monete longhe, col patto di locare ad altri nel caso di migliore offerta. Notaio di Fusine Baldassarre Piatti di Fusine. Copia autentica, 1726 febbraio 12, notaio di Fusine Matteo Piatti fu Giovanni di Fusine.
462. "Locazione concessa a Pietro Mazzoletto di Foppolo rogata dal signor Giovanni Pietro Piatti". "Campo". 1693 ottobre 5, Sondrio "in aula inferiori platii juris Sondrii". Paolo Fogliatus fu Giovanni Battista, decano della comunità di Fusine, e i sindaci delle quadre del Monte, di Valmadre e del Madrasco, concedono in locazione novennale a Pietro Mazzolettus detto Bugada fu Bernardo di Foppolo, il diritto di pascolo sul monte Campo, in Valmadre nel territorio di Fusine al canone annuo di lire 1300 imperiali. Notaio di Fusine Giovanni Pietro Piatti di Fusine. Copia autentica, 1754 agosto 29, notaio di Fusine Matteo Plattus fu Giovanni di Fusine.
467. "Locazione concessa a Giovanni Battista figlio di Carlo Piatti ed Antonio Maria Moretti sottoscritta da detto signor Piatti come gius avente da Caiolo". "Valcervia spettante a Caiolo". 1708 agosto 11, [Fusine]. Giovanni Pietro Piatti, agente a nome del vicario di valle Antonio Salice di Solio, concede in locazione per quattro anni a Giovanni Battista Piatti detto Scadunine figlio di Carlo e ad Antonio Maria Moretti fu Giovanni Battista, ambedue di Foppolo, il diritto di pascolo di ragione della comunità di Caiolo, sul monte Forno e in Valcervia, nel territorio di Fusine, al canone annuale di filippi 30. Notaio di [Fusine] Giovanni Pietro Piatti, sottoscrittore.
468. "Locazione concessa a Giambattista ed Antonio Piatti detti Sandrinelli di Foppolo rogata dal signor Giovanni Pietro Piatti o sia copia della medesima fidemata". "Dordona". 1712 settembre 15, [Fusine] Domenico Pizzini fu Giovanni Battista, decano del comune di Fusine, e i sindici delle quadre di Valmadre, del Monte e del Madrasco, concede in locazione novennale a Giovanni Battista fu Antonio ed Antonio fu Alessandro Piatti detti Sandrinelli, ambo di Foppolo, il diritto di alpeggiare sul monte di Dordona del territorio di Fusine al canone annuo di 108 filippi, con la sigurtà di Cristoforo Rossi fu Giovanni Domenico abitante a Fusine. Notaio Giovanni Pietro Piatti di Fusine. Copia semplice, 1724 febbraio 11, notaio di Fusine Matteo Piatti.
469. "Locazione concessa a Giovanni Pietro, e fratello quondam Domenico Pizzino delle Fusine rogata dal sudetto signor Giovanni Pietro Piatti, seu copia della medesima fidemata". "Vitalengo"(1). 1712 dicembre 29, [Fusine]. Domenico Pizzini fu Giovanni Battista, decano del comune di Fusine, e i sindici delle quadre di Valmadre, del Monte e del Madrasco, concedono in locazione novennale a Pietro Pizzini fu Domenico, agente anche a nome di suo fratello Giovanni Battista, il diritto di pascolo sul monte Vitalengo, al canone annuo di lire 16 e soldi 8 imperiali. Notaio Giovanni Pietro Piatti di Fusine. Copia semplice, 1724 febbraio 12, notaio di Fusine Matteo Piatti, sottoscrittore.
470. "Locazione concessa ad Antonio Maria Mazoletto ed Antonio Maria Moretto ambi di Foppolo rogata dal signor Matteo Piatti". "Valcervo Forno". 1717 agosto 11, Fusine "in portichettu superiori domorum solitae habitationis domini...". Giovanni Battista Fogliato fu Giovanni Battista, decano della comunità di Fusine, i sindaci delle quadre del Monte, Madrasco e Valmadre, e i deputati della predetta comunità, concedono in locazione novennale ad Antonio Maria Mazzoletto detto Bugada fu Pietro e ad Antonio Maria Moretto fu Giovanni Battista, ambedue di Foppolo, il diritto di pascolare, di ragione della comunità di Caiolo, sul monte Forno e in Valcervia nel territorio di Fusine, al canone annuo di lire 1400 imperiali. Notaio di Fusine Matteo Piatti fu Giovanni di Fusine.
2. Il libro fu pubblicato nel 1602 e poi rieditato due secoli dopo.

3. Ramo dei Principi Piatti di Monteleone:

Gerolamo PIATTI, Patrizio Milanese sposa Antonia Vicemale
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1.Girolamo Signore di Carpignano (in Val Sesia) dal 20-XI-1607 Patrizio Milanese
Ebbe il titolo di Conte sul feudo con privilegio di S.M. Cattolica dato in Madrid il 3-XI-1617, sposa Lucrezia Capece Galeota, figlia di Giovanni Battista Capece Galeota, 1° Marchese di Monteleone e Patrizio Napoletano, e di Diana Spinelli (*4-V-1609, +9-V-1665) (v.)
/
2. Francesco - 2.Mario diviene abate - 2.Ludvigio sposa (1667) Donna Diana Capece Galeotta
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Don Carlo Antonio - Don Gerolamo, 1° Principe sposa Barbara Corio e poi (1717) Antonia Lucini
/
Don Ludovico, 2° Principe di Monteleone (*168…, +1-I-1740) sposa (1718) Maria Gerolama Calà
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F1. Don Francesco, 3° Principe di Monteleone (*1730, +1745)
/
F2. Donna Barbara Marianna, 5° Principessa sposa a Napoli (1748) Don Luigi Erba Odescalchi.
4. Actorum mercatorum. 1649 gennaio - 1649 dicembre. Atti dei consoli dei mercanti. Consoli: Giovanni Battista Pesenti, Alessandro Piatti e Giovanni Canova. Allegata rubrica alfabetica onomastica di cc. 49. Filza cart. num. orig. atti 456. Dal sito: www.bibliotecamai.org/cataloghi_inventari/archivi/archivio_comunale_bg/inventario_antico_regime/serie46.html.
5. Consoli dei Mercanti (1555-1804). Dal sito: www.bibliotecamai.org/cataloghi_inventari/archivi/archivio_comunale_bg/inventario_antico_regime/serie46.html.
La serie consta di sentenze ed atti diversi prodotti dal consolato dei mercanti, organo dotato di poteri giurisdizionali creato dallo spirito corporativo dei mercanti, per lo più tessili, della città e del territorio di Bergamo. Le prime notizie riguardanti la collocazione e descrizione della serie risalgono al 1880(1).
L'archivio storico, definito "archivio pretorio", è descritto come costituito da varie "categorie" cioè serie in molti casi corrispondondenti alle magistrature cittadine del periodo della dominazione veneziana.
La serie è una delle fonti documentarie attinenti alla vita commerciale di Bergamo e del territorio; secondo la rilevazione operata da L.Chiodi(2), risultava essere formata da 672 unità, (filze e registri), ma in seguito al presente riordino la sua consistenza è stata incrementata da unità regerite nella sezione "miscellanea".
Le notizie sulle competenze del consolato dei mercanti sono state ricavate principalmente dagli statuti dei consoli dei mercanti del 1457 e del 1780.
Gli "statuta mercatorum" del 1457 vengono compilati dai consoli e savi dei mercanti e approvati dal podestà, dal capitano e vicepodestà e da tre anziani. La loro validità giuridica è tale che per essi (come per quelli successivi del 1780) vige il principio secondo il quale "(...) questi statuti abbiano a essere osservati, come se fatti fossero dal Comune medesimo, ed i Rettori e Giudici della Città, ed i Consoli dei Mercanti siano tenuti osservarli e farli osservare (...)".
Lo statuto dei mercanti del 1457 stabilisce che ogni anno, nel mese di dicembre, una commissione di 12 membri del consiglio generale dei mercanti, debba eleggere 4 mercanti con la funzione di consoli. La carica di console dura dall'1 gennaio al 31 dicembre; i consoli devono giurare di esercitare la carica nella assoluta osservanza degli statuti del paratico, percepiscono un salario di "quatuor librettas candelarum cere" ed sono tenuti ad esercitare il loro ufficio esclusivamente in città. Nel caso di decesso o di rinuncia viene eletto un altro console, che non può rinunciare all'incarico o proporre altri candidati in sua vece.
I consoli hanno giurisdizione ed autorità su ogni lite, causa, questione e controversia vertenti tra mercanti o contro di essi intentate, fossero questi iscritti o meno nel "libro mercantile". Quest'ultimo è una sorta di albo professionale nel quale i notai dei consoli trascrivono i nomi e specificano l'attività dei mercanti che hanno ottenuto la licenza dai consoli stessi. Ogni mercante è così sottoposto al diretto controllo del consolato dei mercanti, tanto più che deve depositare il proprio "signum" distintivo (una sorta di marchio), che viene riportato dai notai accanto al suo nome. Le stesse disposizioni valgono anche per i sensali, i quali a loro volta devono iscriversi nel libro dei mercanti; mercanti e sensali sono tenuti a corrispondere una tassa al momento dell'iscrizione.
6. Tra le dispute di competenza dei consoli sono incluse quelle vertenti tra i mercanti e le categorie addette alla lavorazione dei tessuti: "fullatores", "tintores", "textores", "orditores", "cimatores" ed inoltre "revenditores et alios laboratores et mercenarios et contrahentes cum eis occasione dictarum mercantiarum et cuiusque earum vel alicuius earum".
Le controversie possono riguardare negoziazioni, acquisti o vendite. Di gran lunga preponderante era il numero delle controversie sorte nell'ambito del settore tessile, elemento trainante dell'economia bergamasca(3).
I consoli intervengono in merito a complicazioni legali sorte in occasione dell'uso di lettere di cambio e di altri titoli di credito.
Essi hanno piena autonomia decisionale e potere esecutivo riguardo alle sentenze emesse. Ogni loro sentenza ha valore pari a quelle emesse dal podestà e dai suoi giudici e deve essere mandata ad esecuzione entro dieci giorni, "secundum formam iuris" e in conformità ai decreti della Serenissima e degli ordinamenti del comune di Bergamo.
Il loro modo di procedere deve essere più snello rispetto a quello dei giudici dei tribunali ordinari; i consoli, infatti, sono tenuti a: "(...) cum omni velocitate cognoscere, expedire, diffinire et terminare pro ut melius sciverint et poterunt omni mora postpositam sumarie etiam de plano sine strepitu et figura iudicii sine scriptis et sine libelli vel declarationis datione, et sine litis contestatione omni judiciorum et juris solemnitate omissa (...) ac si rigor iuris in eis foret solemniter observatus et quicquid terminatum, decisum et diffinitum fuerit per ipsos dominos Consules vel per aliquem eorum, valeat et teneat et plenum robur habeat, et esecutionis mandetur per dictos Dominos Consules, quemadmodum haberetur, et executioni mandaretur si deffinita, decisa et determinata esset per Magnificum Dominum Potestatem Pergami, vel per eius judices vel jusdicentes Pergami (...)".
Le sentenze dei consoli sono dunque inappellabili e non possono essere annullate né modificate; in seguito la riforma dello stesso statuto stabilisce che le cause di valore superiore alle 16 lire imperiali possono essere appellate facendo ricorso ad altri magistrati del consolato dei mercanti, nell'ordine i tre sopraconsoli e i sette savi, tutti eletti con le stesse modalità dei consoli. La richiesta di appello deve essere inoltrata entro quattro giorni dall'emissione della sentenza dei consoli e i sopraconsoli devono giudicare entro un mese.
In caso di conferma della sentenza, essa non è ulteriormente appellabile; in caso di riforma può essere rivista dai savi e da loro mandata ad esecuzione.
7. Lo statuto contempla la possibilità di ovviare ad eventuali discordie tra i consoli ricorrendo ai savi, il cui parere è vincolante. I consoli decidono inoltre in merito a interdizioni, sequestri, pignoramenti e "detenzioni", sommariamente e in forma extragiudiziale, in qualsiasi giorno della settimana; sono invece considerati utili per giudicare tutte le altre cause solo il lunedì, il mercoledì ed il venerdì. Uno o tre mercanti vengono anche nominati, di comune accordo tra le parti in causa, arbitri conciliatori. Nel caso in cui una delle due parti abbia rifiutato l'accordo da questi proposto, è costretta a pagare una penale di lire 25 imperiali. In caso di accettazione, invece, non è più possibile presentare nessuna forma di appello o querela. I consoli, nel corso di una causa, possano interrogare chiunque vi sia implicato, e devono pronunciare ugualmente la sentenza anche in assenza di testi. La procedura seguita dai consoli non presenta variazioni nei confronti dei mercanti stranieri.
L'operato dei consoli dei mercanti viene controllato da due "sindicatores" scelti dai dodici elettori membri del consiglio generale. La trascrizione degli atti, dei processi e dei verbali delle elezioni dei consoli è affidata a due notai eletti dagli stessi consoli e da loro retribuiti.
I notai tutelano inoltre l'osservanza degli statuti, segnalando quelle persone che non li rispettano; annotano anche "consilia et reformationes" atte a rafforzare le norme statutarie. La figura del notaio riveste anche un ruolo istituzionale, poiché uno di essi deve sempre attendere all'esercizio giuridico dei consoli; il suo compenso varia a seconda del tipo di atto ed è regolato da un apposito tariffario. Spetta ai sindaci penalizzare i notai nel caso percepiscano indebitamente più denaro del dovuto. L'operato del notaio viene controllato dagli stessi sindaci mensilmente e ogni qualvolta sia ritenuto necessario.
Oltre all'attività giuridica, un console deve assistere una commissione di dodici "onesti" mercanti nel controllo della qualità della merce e nella verifica di pesi e misure. Sempre ai consoli spetta assicurarsi che ogni mercante eserciti in conformità con le leggi statutarie.
I consoli, con l'aiuto dei savi, stabiliscono ed impongno le taglie necessarie per sostenere le spese del paratico.
"Gli Statuti e Privilegi del Paratico e foro dell'Università de Mercanti della città e distretto di Bergamo"(4), non modificano in modo significativo le competenze giuridiche del consolato dei mercanti, né l'ampiezza del loro ruolo regolatore nel commercio. Essi esprimono, semmai, la volontà di disciplinarne in modo più puntuale l'apparato organizzativo, sottolineandone l'accresciuta influenza sulla vita economica della città e del territorio.
Gli statuti del 1780 definiscono anche un'ampia normativa circa l'intervento dei consoli dei mercanti nel contenzioso tra debitori e creditori. Attribuiscono, infine una notevole importanza alle norme relative alle "piazze" delle lettere di cambio, alla loro circolazione e alle controversie in materia. In particolare gli statuti contengono una ducale di "confermazione del Privilegio de Cambi alla Piazza di Bergamo", del doge Alvise Mocenigo IV, datata 1772 giugno 10, che riprende i capitoli stabiliti dalla ducale di Antonio Priuli, del 1621 ottobre 8(5).
I documenti esaminati costituiscono un insieme omogeneo e le unità si presentano sotto forma di filze e registri a scadenza annuale. Più precisamente la produzione annuale è costituita da una filza di atti diversi, una filza di sentenze e un registro di sentenze (in alcuni casi quest'ultimo è stato inserito successivamente nella filza); il registro contiene la trascrizione sintetica delle sentenze della filza corrispondente, operazione necessaria ai fini amministrativi, onde evitare la dispersione della documentazione e snellire l'iter giudiziario.
Ogni unità contiene i nomi dei consoli, sopraconsoli e savi eletti l'anno precedente e di quelli eletti nel mese di aprile per l'anno in corso; in genere sono stati segnalati i nomi dei secondi insieme a quelli dei primi nel caso non comparissero nella filza dell'anno della loro elezione.
Sono stati inoltre segnalati le lettere di cambio e i protesti cambiari su modulo a stampa, utili per un riscontro con la normativa statutaria. Sono stati anche annotati gli interrogatori inviati da autorità di altre città al di fuori del dominio della repubblica di Venezia.
Sono state poi ritrovate, solo nel '600 e in modesta quantità, sentenze dei giudici dei danni dati e dei consoli di giustizia; il contenuto dei documenti (danneggiamenti alla proprietà privata e altre controversie non inerenti la materia mercantile) non presenta affinità con quello del resto della serie.
Unità archivistiche: 697 (regg. 187, vol. 1, fascc. 2, fill. 507).
Sub-note: 1. G. O. Bravi, "Guida...", cit., pp. 63 - 89. 2. L. Chiodi, "L'archivio del comune di Bergamo durante il periodo del dominio della Repubblica Veneta", in "Bergomum", LVIII, n. 2, 1964, pp. 119 - 126. 3. G. Da Lezze, "Descrizione di Bergamo e del suo Territorio", cit. 4. "Statuti e Privilegi del Paratico e Foro della Università de Mercanti della città e distretto di Bergamo", Bergamo, 1780, capp. XXIII, XXIV, XXV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXXI, XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVII, LXXXVII, LXXXVIII, LXXXIX, XC, XCI, XCII, XCIII, XCIV, XCVI, XCVII, CXXIII. 5. "Indice della raccolta di ducali, atti e terminazioni ecc., riguardante la città di Bergamo", datt., sec. xx, in Biblioteca civica "A. Mai" di Bergamo, inv. 2.4.
8. Da un libro del 1881: "Li territori vicino Grumo sono tutti possessioni che vi sono arbori d'olive, amandole et altri frutti, che sono tutti dei particolari (i territori erano di proprietà del "Padrone" o demaniali dell'Università o delle Chiese, oppure dei "particolari", cioè di proprietà dei normali cittadini), rinchiusi da pareti di pietra circum circa, poiché per la gran quantità di pietre bianche che produce la terra,essi annettando le possessioni delle medesime pietre, fanno le pareti d'esse, ovvero moricini attorno. Et altri territori… chiamano parcori, non essendoci che cerque, pirazzi et stingi, lentischi; et altri de vigne, nelle quali sogliono piantare pera, pruna, granate, mele et fico, et altre sorti di frutti, et sono tanto belle che invaghiscono l'intelletto umano; et tanto più paiono belli, perché il paese è piano, et in ogni parte ti poni un poco, altro non vedi che di queste possessioni, et la vista non ha termine perché non vi sono monti, et de più ivi l'inverno è piacevole, et non è freddo, quanto nelle altre parti dove vi sono monti, et in questo mese di Dicembre ci sono quantità di rose et altri fiori".
9. Il prezzo base dell'asta fu di ducati 13.789 e i beni vennero aggiudicati per 18 mila ducati a Don Gennaro Frezza che comprò per altra persona, che poi risultò essere Don Diego Vitale di Cava dei Tirreni. Con decreto del 20 luglio 1692, il Regio Fisco assegnò a Don Diego il patrimonio feudale di Tortora.
10. Si nota come i confini della Giurisdizione del Tufo, sono l'infrascritti quattordici termini lapidei posti nell'anno 1716 dal R.[egi]o Tavolario Mag.[nifi]co Antonio Piatti coll'intervento del Regio Consigliero Andreasso Commissario in quel tempo, come appare dagli atti in Banca del Mastrodatti allora in Napoli, oggi Bova scrivano, comincia tal Giurisdizione [del Tufo] al Ponte delle Tavole di Prata sulla Tea, e sale per la strada pub.[bli]ca che divide la Giurisdizione del Tufo, e [la Giurisdizione di] Castel Muzzo, e tira via via sino alla Fontana di S.Lucia, ed ivi stà il p.[ri]mo termine lapideo distante da d.[ett]a fontana da sopra la strada palmi sessantaquattro in c.a che divide le Giurisdizioni del Tufo e Castel Muzzo; [/]
il secondo termine stà piantato in Fontana Tea, nel principio della viocciola, che sale sul Montetto, dove stà edificata la Massaria di Giacom'Aniello Zuzzolo, ed all'incontro di d.[ett]o termine, vi è la via che cala al Ponte di Zeza. [/]
Il terzo termine stà posto in puntone dove si incontrano due vie, e proprio nel punto dove si dice Cappella di Sette Grani, e quivi termina la Giurisdizione di Castel Muzzo, e comincia quella [detta Giuridizione] di M.[on]tefuscolo e S.Paolina; [/]
Il quarto termine stà posto nella Callina, dov'era la Cappella di S.Felice; [/]
Il quinto termine stà posto nell'angolo della strada che da Torrejoni va a M.[on]tefuscolo, distante dalla Fontana nominata Zirfa, passi quarantadue in c.a frà due termini si camina Serra serra acqua pendente; [/]
il sesto termine stà posto nel luogo detto Il Sambuco, che dal d.[ett]o quinto termine camina strada strada. [/]
Il settimo termine stà posto sopra il Vallone di Cincipaglia, e fra questo ed il sesto termine, vi è la linea retta, che cala per mezzo un concavo territorio, ed in questo punto termina la Giurisdizione di Montefuscolo e S.Paolina e comincia quello di Cucciano; [/]
l'ottavo termine stà posto sopra un Montetto d.[ett]o Le Canfore per linea retta di sud.[dett]o termine, e proprio nel territorio che fù d'Angiolo Lepere. [/]
Il nono termine sta posto sopra una collina, e proprio nel luogo d.[ett]o Francomero, nel quale punto si uniscono fra gli altri, due territorij, uno di Rocco Melone, e l'altro del q.[uonda]m Cesare Ferraro. [/]
Il decimo termine stà posto in un crucifero pub.[bli]co e proprio nel luogo d.[ett]o Lo Pezzaco sopra il Montetto in mezzo di essa via a costo della quale vi sono due tronchi di castagno. [/]
L'undicesimo termine stà posto sopra la selva di Orsola Ferraro, che vi sono due alberi di castagno giovine, nelli quali per migliore dimostrazione, vi sono incise croci, e da sopra vi stà la selva de q.[uonda]m Vincenzo Severino di Altavilla, che resta in giurisdizione del Tufo, da dove poi la linea retta si cala al basso. [/]
Il duodecimo termine stà posto sopra la Fontana delle Mandre, non essendosi potuto mettere nel luogo della Fontana per esservi vicino un vallone, e proprio dove si uniscono i territorij del q.[uonda]m Orazio Macchia da un lato versa il Tufo, due partite di territorij una d'Angiolo Bianco e l'altra di Giulio di Pasqua, che restano in Giurisdizione del Tufo, e da questo seguita la linea per li confini de' territori di Giulio di Pasquale sino alla sommità del Monte [detto Varvazzano]; [/]
il decimo terzo termine stà posto in d.[ett]a sommità del Monte d.[ett]o Varvazzano, dal quale si cala la linea verso basso; [/]
il decimo quarto ed ultimo termine stà posto nel luogo d.[ett]o Lo Pezzaco di Mas[t].o Agnello, da sopra un piede di castagno vecchio, dove vi sta incisa una croce per maggiore evidenza, restando però d.[ett]o castagno in Giurisdizione di Toccanisi; come anche Il Pantano, che sta distante da d.[ett]o termine passi dieci in c.[ir]ca, e da questo ultimo punto descritto tira la linea retta, sino alla Fontana dell'Acqua Fresca, dove finisce la giurisdizione di Toccanisi e questa costantemente serve per termine e di là serro serro per quello era del fù Franc.[esc]o di Vito cala la via, che và a Petruro, e poi cala per sopra li Valli di Petruro, ed esce al Montetto, dove si dice il Termine Rotto, e di là cala sierro sierro sopra la via, che va a Petruro, che vi stà altro termine, e di sopra la linea esce al Vallone si chiama Recupo, da sopra il ter.[ritori]o di Giulio Capozzo e cala per d.o Vallone sino alla via pub.[blic]a, che và a Benevento, e sale per detta via sino a quello di D.[omeni]co Capozzo, che si piglia per la via vicinale, che stà da salto, ed esce dentro la vigna, che si chiama La Pera, seu La Pantana, ove sta posto altro termine, e di la esce alla via pub.[bli]ca che va al Ponte d'Arcone, e di la piglia serra serra del Boschetto, ed esce a Pietra Amara, che è avanti la Taverna di Altavilla d.[ett]a del Celso, dalla quale Giurisdizione [di Altavilla] l'Uni.[versit]à del Tufo s'incatasta dal Vallone detto Recupo, e viene via via sino al Montetto d.[ett]o Capanaro e cala per detta strada pub.[bli]ca sino a S.Stefano, e proprio dove stà il Parlamento dell'Eredi di Ferraro, e di là per linea retta al Parmiento delli Pasqua, e cala al Vallone, e poi sale li territorij di Gennaro di Vito, ed esce linea retta, e va sotto la Massaria di Paolino Aufiero, che resta in Giurisdizione del Tufo, e sale alla via pub.[bli]ca d.[ett]a di S.Paolo e per di là via via esce al Vallone d.[ett]o Salacino, sale per d.[ett]a via, d.[ett]a Le Profichi, ed esce al terzo termine dove si dice Cappella di Sette Grani, e da sotto resta la Giurisdizione del Tufo, e da sopra quella [detta Giurisdizione] di Torrejoni.
11. Quare auctoritate supradicti Consilii mandamus Vobis, et ita exequi faciatis. Datae in nostro Ducali Palatio die vigesima octava Junii indictione duodecima M.D.CC.IV - Francesco Savioni Secretario.
12. V. Ctatasto Onciario di Torrioni, op.cit.
13. ASN, Cedolari, Torrioni, Bobina 37, Vol.69, pag.32. Questo il testo originale della lettera: Die 13 Ottobris 1732 / M.co D.Gio. de Tomaso Raz.le della R.a Cam.a della Sommaria per S.M., Dio Guardi... Nella Regia Camera della Sommaria compare il procuratore del Conte D.Giacomo Ant.° Piatti odierno Possessore della terra del Tufo e Casale di Torrioni in Prov.a di Princ.Ultra...
Fò fede io sotto Parroco di S.Liborio di Napoli, come perquisito il libro quarto de defonti, che da me si conserva ho trovato a fol.78 alla nota sg.te. A dì 27 Gen.ro 1732 il Conte D.Francesco Piatti marito di D.Giulia Ricupido dopo ricevuto li SS.mi Sacramenti morì in età d'anni 77 e fu sepolto nella Chiesa di S.Anna de' Lombardi, et in fede.
14. ASN, Cedolari, Torrioni, Bobina 37, Vol.68. E' invece del 1754, seguendo la bobina Serie Cedolari, dei Volumi 68 (da ff.662), 69 e 70 (fino ff.532), la citazione su Pasquale Piatti / Pro / Terra Tufi et duabus partibus Casalis Torrejuni. Cfr. Bascetta A., 23.Torrioni, cit.
15. ASA, Catasti Onciari, Torrioni (fotocopia anastatica). Cfr. Bascetta A., 23.Torrioni, cit. ASN, Cedolari, Torrioni, Bobina 37, Vol.70, Pag.367. Die 18 Feb.rij 1752. / Mag.[nifi]co Franc.[es]co Valente Raz.[ional]e per S.Ma. Dio g.[uard]i di questa R.[egi]a Camera della Summ.[ari]a con carico de' libri del R.e Cedolario... de' Baroni e Feudatarij del U.te Regno come sapete se ritrova da voi firmata Rlaz.[io]ne del tenor che siegue...: Essendosi per parte dell'Ill.[ustr]e Marchese del Tufo D.Pasquale Piatti fatt'ist.mo per l'intestaz.[io]ne libri del Cedolario della Terra del Tufo e suo Casale di Torrejone in Prov.[inci]a di Principato Ultra, stante la morte del q.[uonda]m Illustre Conte D.Giacomo Antonio Piatti ultimo Marchese del Tufo fu suo Padre, e pagamento del Relevio anticipato seguito in beneficio della R.[egi]a Corte in esecuzione degli ordini gentili degli anni 1743, 1746 e 1747, con decreto di S.M. de' 10 Ott.[obr]e del corrente anno 1751 mi vien commesso che ricon.te le scritte necessarie e libri opportuni ne facessi Relaz.[io]ne, nella quale riferissi quell'occorre ad finem providenti, come da questi atti dell'Att.[uar]io Cesarano. Devo perciò riferirli che unendo ricon.to del Cedolario corrente della Prov.[inci]a di Principato Ultra che và dall'anno 1732 in avanti in quello del '32 si nota tassato l'infratto cioè: D.no Jacobus Antonius Piatti tenebat: / Pro / Terra Tufi et duabus partibus Casalis Terrejuni in 16.4.5. / Iurisd.[itio]ne secunda causa pete Terre et dua tertia una partium Casalis in 2.4.12 e 1/6 / 19.3.17 e 1/6 [la somma esatta risulta però 18.8.17 e 1/6!]
Quale intestazione seguì in Cedolario invictu di Certificatoria spedita da questa R.[egi]a Camera prec.[eden]te decreto della medesima in data de' 6 Ott.[obr]e 1732.
Satò à Relaz.[ion]e dell'Ill.[ust]re Marchese di Chiuppeto D.Francesco del Tufo all'ora Pres.[idente] Conv. p. Att.[ua]rio Felicem de' Ajello come dal Cedolario si ravvisa.
Il quale suddetto Ill.[ust]re Conte D.Giacom'Ant.[oni]o Piatti March.[es]e del Tufo essendosene morto à 30 Agosto corrente anno 1751, come dalla fede fattane dal R.[everend]o Paroco di S.Maria del Soccorso all'Arenella in pertinenza di Napoli N.2, di quello per decreto di preambolo intrposto per la G.[ran] Corte della Vic.[ari]a in data de' 17 D.[ice]mbre corrente anno n'è stato il suddetto Ill.[ust]re Marchese del Tufo D.Pasquale Piatti dichiarato figlio et erede vule e particolare ex testamento in bonis feudalibus et titulatiij come dalla fade fattane dall'Att.[ua]rio di V.[icari]a Michel'Angelo de' Vito N.3.
E per il Relevio alla R.[egi]a Corte debito per la morte del suddetto Ill.[ust]re Conte D.Giacomo Antonio Piatti Marchese del Tufo fu suo Padre per li feudali della suddetta Terra del Tufo e suo Casale di Torrejoni quello se ritrova anticipatam.[en]te pagato ad essa R.[egi]a Corte ad esecuzione dell'ordini del 1743, 1746 e 1747 in summa de D.199.2, come dalla fede, ò sia certificatoria del M.[agnifi]co D.Paolo Conti in questi atti N.4. Stante ciò circa la domandata intestazione della sudetta Terra del Tufo e suo Casale di Torrejoni in due 3e parti, colla giurisdizione delle 2de cause in essa Terra e Casale ne' libri del Regio Cedolario a beneficio del sudetto Illustre D.Pasquale Piatti, non m'occorre di riferire altra cosa in contrario, per essersi anco pagato all'Ill.[ustr]re Gran Camerario del Regno, e per esso alla Regia Corte il deritto delli Tappeti in summa de' D.30.5 per lo B.[anc]o del SS.mo Salv.[ato]re conp.[re]sa notata fede in testa dell'Ill.[ust]re March.[es]e D.Pasquale Piatti de' 12 corrente come dalla ricevuta N.6.
E questo è quanto devo in tal particolare riferire all'I.[llustrissimo] a chi fò div.a Riv.a dalla R.[egi]a Camera della Summaria. / Lì 13 Ott.[ob]re 1751= Il Raz.[iona]le Francesco Valente.
Quale preinserita Relaz.[io]ne dall'Ill.[ust]re Marc.[es]e D.Carlo Ruoti Pres.te Conv. è statata rimessa à primo S.[ette]mbre 1751 all'Ill.[ust]re March.[es]e Ann.te fiscale Mauri, da chi è stata fatta la seguente istanza die 15 Feb.rij 1752= fiscus visa Relazione m.ci R.[eg]alij Com.[missa]rij remittit se solvis...
Certificandosi adunque dal pred.° li dicemo, che per esecuzione del preinserto decreto interposto per l'infratto Ill.[ust]re March.[es]e D.Saverio Garofalo Pres.te Comm. preced.te istanza fiscale, debbiate descrivere, e far descrivere la sudetta Terra del Tufo e due 3e parti del suo Casale di Torrejoni e loro giurisdiz.ione di 2e cause nel Cedolario corrente della Prov.a di Principato Ultra, e dovunque altro sarà necessario, in testa dell'Ill.[ust]re D.Pasquale Piatti colla medesima tassa che ne cedolarij stessi se ritrova giusta il contenuto nella preius.te Relazione Data Neap. ex R.a Cam.a Summaria die 18 Feb.[ra]rij 1752
D.Matheus de Ferrante M.C.L.=
D.Xaverius Garofalo=
Francesco Cesarano
Jo:Bruno= Et Sic pred.e D.Paschalis Piatti: / Prò / Terra Tufi et duabus Tertij partibus Casalis Torrejuni in..... 16.4.5. / Iurisd.[itio]ne 2da p'ete Terre, et dua tertia parti Casalis p'eti....2.4.12 e 1/6 / 19.3.17 e 1/6 [Il totale sarebbe 18.8.17 e 1/6!].
16. Cfr. Ricca E., Storia dei Feudi, cit., pag.470-594; cfr. V.Donnarumma, Torrioni-Avellino: Storia Antropologia Immagini Dialetto, (a cura di) ABEdizioni 1998.
17. ASN, Catasti Onciari, Caserta e Casali. Cfr. Bascetta, Venticano e le Fiere, Abedizioni 2001.
18. Cfr. Bascetta A., Venticano e le fiere; Bascetta A., S.Angelo a Scala, op. cit. Per il sistema feudale nel 1500 V. Pescosolido G.; per quello del Ducato di Sora: A.Nicosia in: Riccardi F., I Boncompagni e Roccasecca (1583-1796). V. anche Bascetta A., Carolineo dei Franchi, Carovigno dei Normanni, op.cit.
19. V. Catasto Onciario di Torrioni, op.cit.
20. ASNA, Catasti Onciari, Tufo, L'Ecc[ellentissi]mo Sig[no]r D[on] Pasquale Conte Piatti Marchese del Tufo Barone di Torrejoni, patrizio beneventano privileggiato napolitano Ill[ustr]e possessore di questa T[err]ra del Tufo, e Castello di Torrejoni... Censi seu annui redditi si esiggono da particolari di Torrejoni per concessione di territori in pertinenza del Tufo, come distintamente si descrivono ut infra, vol.4778:
Giuseppe Lepere, per un terr. sem. à alberi vitati in luogo detto in Piano, once 3.2 e 1/2
Giacchino Lepere, per un teritorio seminatorio arbustato in luogo detto in Piano, once 12.29
Angiolo Oliviero di Carlo, per un territorio seminatorio con vigna in Piano, once 3.18 e 2/3
Francesco dell'Abbate, seminatorio a S.Stefano, seu Vallo dell'Asino, once 7.13 e 2/3
Andrea dell'Abbate, per sem. con alberi a S.Stefano seu Vallo dell'Asino, once 13.11 e 5/8.
Domenico Lepere, per un territorio seminatorio ed arbustato a S.Stefano, once 18.20
Michele Di Vito, per seminatorio con piedi di Noci in un luogo detto Capanaro, once 0.20
Matteo di Vito, per un territorio seminatorio a Torre de Lento, once 0.4 e 1/2
Pietro di Vito, per un territorio seminatorio ed arbustato nel luogo detto S.Stefano, once 0.22
Giovanni di Vito, per un territorio seminatorio a Torre de Lenti, once 0.1/2
Nicolò di Vito per un territorio seminatorio a S.Stefano, once 1.10
Giuseppe Sarracino di S.Angiolo à Scala, per un 1 e 1/2 tom. di sem. a S.Stefano, once 0.25
Felice Barone di Ceppaloni, per 1 tomolo a S.Stefano, once 0.20
Crescenzo Zoina, per un territorio seminatorio ed arbustato a Capo Nero
più un territorio seminatorio a Vallo dell'Asino, once 5 + once 1.15
Giovanni Centrella, per seminatorio co' alberi vitati a Vallo dell'Asino, once 12.24
Francesco Zoina, per un territorio seminatorio ed arbustato a Vallo dell'Asino, once 0.16
Pietro Zoina di Monte Rocchetto, per seminatorio ed arbustato a S.Stefano, once 0.25
Pietro Oliviero, per un territorio seminatorio ed arbustato a La Pagana,
più un terr. seminatorio a La Pantana, once 1.2 e 1/2 e once 1.20
Sabbato Oliviero, per un territorio seminatorio a La Pantana,
più un sem. ed arbustato a La Pagana, once 1.20 e once 1.22 e 1/2
Crescenzo Oliviero, per un territorio seminatorio ed arbustato a La Pagana,
più un territorio arbustato a La Pantana, once 1.2 e 1/2 e once 1.20
Bernardino Avella, per 1 e 1/2 tomolo di sem. ed arbustato a La Pantana, once 0.22 e 1/2
Angelo Garofalo, per misure di territorio seminatorio a Li Marianielli,
più una vigna a S.Stefano, 2 territori seminatori a Capanaro,
sem. di 1/2 tomolo a Capanaro che confina da capo via Pub.[blica],
da piedi Angelo Zarrella, once 0.26 + 0.6 e 1/2 + 0.5 + 0.15 + 0.10
Antonio Cennerazzo, per un territorio seminatorio con viti a La Pagana, once 2.17
Donato Oliviero, per un territorio seminatorio ed arbustato a S.Stefano, once 8.23 e 1/2
Carmine Oliviero, per un territorio seminatorio ed arbustato a S.Stefano, once 8.23 e 1/3
Nicola Sabbato [Eredi di] per un territorio seminatorio ed arbustato a S.Stefano, once 16.20
Lorenzo Centrella, per un terr. seminatorio ed arbustato a Li Manganielli, once 1.22 e 1/2
Simone Iommazzo, per un territorio seminatorio a Capanaro, once 0.20
Nicola Oliviero, per un territorio seminatorio a La Pantana, once 1.21 e 1/2
Nicola Saracino, per un territorio seminatorio in Piano, once 0.10
Chiesa Parrocchiale di TorreJoni, per un terr. seminatorio a La Pagana, once 3.7 e 1/2
Lorenzo Lepere, per un territorio seminatorio a Li Pellegrini, once 0.20
[Sono in tutto] once 2140.11 e 5/12
Si notano l'infrascritti Corpi Feudali, ch'esso Signor Conte D.Pasquale Piatti Marchese del Tufo, e Barone del Castello di Torrejoni, possiede in q[ue]sta sud[dett]a T[err]a, e sono, cioè:
- Il Molino
- Le Prime e seconde cause
- Il Jus Scannagi
- La Taverna con Passo in tutto il terr.[ritori]o, però in un sol luogo si deve pagare
- Il Forno
- La Mastrodattìa civile, criminale e bagliva
- Il Palazzo Marchesale, col suo rivellino, e giardino attorno, con magazzino, dove si ripongono le vittovaglie che si raccolgono nel feudo, che gli servono per uso proprio
- Il ter.[ritori]o nominato Li Limiti
- Il ter.[ritori]o d.[ett]o S.Lucia, e Bosco del Serrone
- Il ter.[ritori]o d.[ett]o La Mela, e S.Paolo
- La vigna d.[ett]a A Chiaviniano
- Il ter.[ritori]o d.[ett]o La Corte di Giovan Farina per uso del Molino
- Fida delle Capre e Pecore ed altri animali forastieri fiscali in d.a Terra
- Grani sei per ogni fuoco nella medesima Terra
- Il Giardino sopra La Taverna
- Il Cappone il giorno di Capo d'anno tenuto dare l'Uni.[versit]à all'Ill.[ustr]re Sig.[no]r Marchese p.[rese]nte
- Il Jus p.[atro]nato dell'Arcipretura
- Il Jus p.[atro]nato della Chiesa Arcipretale
- Il Jus di eligere [i sindaci] due delle quattro persone nominate in Pubblico Parlamento per Eletti, Sindaci dell'Uni.[versi]tà sud.[dett]a
- Il Jus proibendi [sul vino] nel mese di agosto à cittadini di vendere vino, avendo egli solo la facoltà di far vendere il vino a minuto nella sua cantina.
- Balchiera col pargo
- E' tenuta l'Uni.[versi]tà del Tufo a far esigere li redditi ch'esso ecc.mo Sig. Marchese tiene in S.Paolina, che sono docati [ ] come dal relevo che da nel S.R.C.
- Esigge ogni anno da S.E. il Sig. Principe della Riccia per l'appoggio della Palata nel fiume Sabbato in giurisdizione dl'esso Ecc.mo Sig. Marchese annui docati trenta, come dallo strumento rogato dal Mag.[nifi]co N.[ota]r Salvatore Palombo a 8 luglio 1733.
21. ASNA, Catasti Onciari, Tufo, Frontespizio, vol.4778. Nel Catasto seu Onciario formato per l'Unità di q'esta Terra del Tufo, giusta le reali istruzioni, nel quale sono tassati cittadini, forestieri, eccl.[esiasti]ci, chiese, e luoghi pij, principato nell'anno del governo di Nicolò Florio Sind.[aco] e Biaggio Grosso eletto dal 1741 in 42 e terminato nell'anno del governo di Angelo Izzo Sind.[ac]o e Franc.[esc]o Vicario eletto dal 1752 in 53.
22. ASNA, Catasti Onciari, Tufo, Forastieri abitanti laici, vol.4778. Le famiglie di forestieri sono due: quella del bracciale Alessandro Oliviero di 27 anni, con la moglie Teresa Lucenno di 24 anni e la figlia Angela di 3 anni, proveniente da Terrajoni; quella del bracciale Giovanni di Pierro di 40 anni con la moglie Angela Barile di 40 anni e i figli Pasquale di 9, Fortunato di 4 e Teresa di 2 anni. La famiglia torrionese di Alessandro Oliviero abita in casa propria sita nel luogo di Tufo chiamato Monnez.[zaro] e possiede 3/4 di terreno seminato e un paio di giovenchi che tiene alla società con Luca Petrizzi, pagando 2,20 once. La famiglia di Pierro, invece, abita in casa di Michele Genovese di S.Paolina e non possiede altro, vivendo colle sue proprie fatighe, pertanto paga 1,2 once e 10, solo per lo jus habit.[atio]nes.
23. ASNA, Catasti Onciari, Tufo, Forastieri non abitanti laici, vol.4778. Sempre a Tufo sono decine i torrionesi ufficiali non residenti, quindi considerati forestieri, cioè non abitanti laici, in quanto possessori di beni per i quali debbono pagare le once che riportiamo in parentesi. Si tratta di: Angiolo Garofalo (once 2,27 e 1/2), Angiolo Oliviero (once 0,12), Antonio Sabbato figlio di Nicola (1,20), Andrea dell'Abbate (4,48 e 1/2), Antonio di Vito (3,10), Andrea Cennerazzo (3,28), Berardino Avella (6), Ciriaco di Vito con tre terreni a S.Stefano e uno a Ripafavale (once 23,20), Crescenzo Zoina (4,15 e 2/3), Carmine Oliviero (1,5 e 1/2), Crescenzo Oliviero con la madre Angiola de Lo Franco (3,28), Carlo Romano (2,15), Domenico Lepore (0,20), Domenico di Vito (1,8), Francesco dell'Abbate (1,6 e 1/3), Francesco Zoina (4,14), Gioacchino Lepore (42,13 e 1/2), Giuseppe Lepore con territorio seminato arbustato e vitato a Piano (3,17 e 1/2), Giovanni di Vito (2,28 e 1/2), Giovanni Centrella (3,17 e 1/2), Gennaio Cennerazzo col territorio parte seminatorio e parte vitato a Padube (2,5), Lorenzo Centrella (3,7 e 1/2), Michele di Vito (0,5), Nicola Saracino (1), Nicola Oliviero (2,18 e 1/2), Onofrio di Vito con un territorio seminatorio con poche viti a S.Stefano (0,20), Pietro Oliviero (2,20 e 5/6), Simone Iommazzo (0,15) e Sabbato Oliviero (8,10 e 5/6).
24. V.Catasto Onciario di Torrioni, op.cit.
25. Ivi.
26. Filza cart. num. orig. pratiche 121. 4549.0 . Atti dell'officio delle vittovaglie e paratici. 1778 gennaio - 1778 dicembre. Atti dell'ufficio e sentenze dei giudici delle vettovaglie. Giudici alle vettovaglie: Giovanni Battista Bresciani, Giovanni Antonio Zanchi de Mozzi, Giovanni Giacomo Aregoni, Pietro Prezati, Giuseppe Locatelli Lanzi, Alessandro Piatti, Alessandro Casotti, Alessandro Colleoni e Gianangelo Zineroni. Notai dei giudici delle vettovaglie: Ottavio Rivola e Antonio Maria Imberti notaio coadiutore. Allegati proclama a stampa del 1718 relativo alla bollatura di pesi e misure emesso dai giudici delle vettovaglie Giulio Medolago, Rodolfo Alessandri, Giovanni Battista Bailetti Salvagno (n. 100) e rubrica alfabetica onomastica degli atti di cc. 48.
V. anche: Filza cart. pratiche 115; 1 - 112, num. orig., poi rec. 4550.0. Atti dell'officio delle vittovaglie e paratici. 1779 gennaio - 1779 dicembre. Atti dell'ufficio dei giudici delle vettovaglie. Accuse presentate dal cavaliere di comune ai giudici delle vettovaglie e relative sentenze. Giudici delle vettovaglie: Giusto Albani, Giacomo Mazzocchi, Giacomo Arigoni, Cesare Pietrasanta, Alessandro Barziza, Giuseppe Rivola, Giuseppe Locatelli Lanzi, Alessandro Piatti e Aurelio Carrara. Notai dei giudici delle vettovaglie Ottavio Rivola e Antonio Maria Imberti notaio coadiutore. Allegata rubrica alfabetica onomastica e degli atti di cc. 24.
27. Registro cart. mm.340x240; leg. in pelle; num. mista per cc. e pp. orig. 1 - 139; rec. 140 - 143. 4537.0. Atti dei giudici delle vettovaglie e del comitato alle vettovaglie. 1768 - 1805. Atti dei giudici delle vettovaglie: licenze, suppliche, calmieri, decreti, nomine conferme e destituzioni dalla carica di cavaliere di comune, fante e difensore fiscale. Atti analoghi del comitato delle vettovaglie. Lettera del giudice delle vettovaglie di Bergamo, Francesco Maria Quarenghi, al delegato regio alle vettovaglie di Milano, conte Ambrogio Cavernago, per informazioni sui prezzi delle varie qualità di formaggio in circolazione sul mercato, con annotazione dell'inoltro di copie simili al delegato regio alle vettovaglie di Cremona e di Lodi e ai giudici alle vettovaglie di Brescia e di Crema.
Giudici delle vettovaglie: Cesare Pietrasanta, Antonio Marenzi, Marco Tomini Roresti, Pietro Prezati, Alessandro Colleoni, Pietro Finardo, Giacomo Medolago, Giovanni Battista Bresciani, Francesco Adelasio, Amedeo Tassis, Giovanni Giacomo Arigoni, Giovanni Battista Galizioli, Pietro Zanchi, Tommaso Passi, Giovanni Angelo Zineroni, Andrea Moroni, Giuseppe Marchesi, Lelio Mangilli, Giuseppe Olmo, Giovanni Clemente Spini, Francesco Spini, Giuseppe Locatelli Lanzi, Alessandro Piatti, Gerolamo Macazzoli, Giovanni Antonio Zanchi de Mozzi, Francesco Farina, Giovanni Battista Mosconi, Giovanni Pezzoli, Zaccaria Albani, Filippo Antonio Franchetti, Franco Brembati, Pietro Giupponi conte, Paolo Mazzoleni, Gaetano Ginammi, Giovanni Battista Pesenti, Gerolamo Alessandri, Carlo Giuseppe Vitalbam, Francesco Colleoni, Giuseppe Pilis Corsetti, Luigi Grismondi, Marcantonio de' conti di Calepio, Pietro Giuseppe Zanchi Locatelli, Giacomo Mazzocchi, Antonio Biffi, Benedetto Martinoni, Andrea Risllosi, Giovanni Paolo Sonzogni, Giovanni Battista Salvagni, Annibale Suardi, Ippolito Passi, Ottavio Bonifagio Agliardi, Giovanni Rovetta, Filippo della Torre, Giuseppe Mangili, Lorenzo Tiraboschi, Giulio conte di Calepio, Pietro Balestra, Filippo Vitalbam, Giovanni Francesco de Comenduno, Antonio Benaglia, Giovanni Giacomo Terzi, Decio Tasca, Giulio Carrara, Alessandro Casotti, Paolo Lupi, Giovanni Battista Sangalli, Pietro Giorgio Benaglio, Giovanni Francesco Medolago, Prospero Alessandri, Giovanni Maria Scotti, Nicolino de' conti di Calepio, Antonio Fogaccia, Antonio Suardo, Giusto Albani, Pietro Giacomo Moroni conte, Carlo Fogaccia conte, Marcantonio Sozzi e Gerolamo Marenzi.
Notai dei giudici delle vettovaglie: Ottavio Rivola, Cristoforo Biffi, Francesco Maironi, Giovanni Maria Manini, Giovanni Battista Locatelli.
28. Ivi, Atti D. Vincenzo Ghisleri Nod. di Bergamo.
29. La prima grande catastrofe che colpì i centri di quest'area fu il terremoto del 1688, al quale seguì quello del 1694, come ricorda Napolillo che cita una Relazione anonima, consultata da Salvatore Pescatori e conservata nella Biblioteca Provinciale di Avellino: Il maggior danno si sente accaduto nella provincia chiamata di Principato Ulteriore, ove la città di Ariano è stata tutta distrutta, a riserva di pochissimi edifici, i quali quantunque non siano affatto inutili e rovinati, sono però rimasti talmente aperti, che sono inabitabili (...). E sebbene il numero de' morti in essa città, oltre de' storpi, non ascendono secondo l'ultime notizie, che a centosettanta, ciò è stato perché, nel tempo che accadde il tremuoto, la gente si trovò uscita per le campagne, ove abitano presentemente, e anche nelle grotte, per la neve caduta ne' giorni susseguenti al tremuoto, la disgrazia se le rende maggiormente sensibili. La Terra di Bonito anche è rovinata tutta, e centocinquanta morti, e trecento feriti; e sentendosi ivi di continuo scuotere la terra, la rimanente gente atterrita vive per la campagna oppressa dalla neve. La stessa disgrazia si sente accaduta alla terra detta Pietra delli Fusi con morte di circa cento persone. Carifi nella stessa forma, e fra morti si conta quel Marchese di casa Capobianco colla moglie e figli, oltre a due altri figli del Duca di Colle Corvino, Miro. Mirabella è anche rovinata, con molta mortalità.
30. Catasto Onciario di Apice.
31. Erasmo Ricca, ne "La nobiltà delle Due Sicilie, edita a Napoli nel 1869", scrive che "La marchesa Rosa Piatti donò la terra di Tufo e due delle tre porzioni del casale di Torrioni al Marchese di Carife Giovanni Capobianco, figliolo primogenito di lei", ai tempi del notaio Bernardo Capobianco di Napoli.
32. Ecco quindi il frammentario albero genealogico dei Marchesi Piatti Veneziani e Capobianco, Patrizi Beneventani e Patrizi Napoletani, Marchesi di Torrioni e Tufo:
Francesco (1716-1732) sposa Giulia Recupido
/
Giacomantonio (17..-1751)
/
Pasquale (..-1790) - Rosa sposa Felice Capobianco Marchese di Carife
Questi i Capobianco di Benevento:
Giuseppe (1684), Marchese di Carife (1684)
/
Felice (1735), Marchese di Carife (1735) sposa Rosa Piatti
/
Giovanni I (1788), Marchesi di Carife, Torrioni e Tufo (1788) sposa la Marchesa Marianna Pacca
/
Raffaele I Marchese di Carife, Torrioni e Tufo (1800) sposa Beatrice della Quadra Carafa
/
Giovanni II Marchese di Carife, Torrioni e Tufo (1806) sposa Felicita Capobianco
/
Raffaele II
33. Monitore Napoletano, Napoli, 20. Fiorile anno 7. della Libertà. Manthone' Ministro della Guerra, Marina, ed Affari Esteri:
Al Cittadin Giuseppe Schipani Capo di Legione. Il vostro rapporto, e le ferite gloriose della maggior parte degli Uffiziali, e Patrioti che avete l'onore di comandare, mostrano la condotta militare della vostra Legione, ed i servigi che può promettersene la Patria nelle fasi della sua rivoluzione. lo non son rimasto insensibile a questa testimonianza; ed ho ottenuto dalla Commissione Esecutiva l'ordine di mostrar loro la sua riconoscenza. Prevenite in conseguenza gli Uffiziali e Patrioti feriti nel numero di quattordici, secondo la nota seguente, che dalla Commissione Esecutiva sono stati a voi liberati docati mille quattrocento contanti, per distribuire cento per ciascheduno di essi; potendo voi mandare dal Commissario della Tesoreria Nazionale Antonio Piatti a prendere la detta somma, essendosene passato l'ordine all'Intendenza.
Uffiziali e Patrioti feriti, a'quali si libera la somma di ducati cento in contanti per ciascheduno. Ignazio Ritucci Capitano della Legione Campana, Saverio Dupuy Tenente di detta Legione, Desiderio Molinier, Gregorio Buscè, Pietro Desroches Capitano della Legione Bruzia, Giannotti Sergente della Legione Bruzia, Castiglia Comandante dell'Artiglieria, destinata per la spedizione di Calabria, Antonio Ritucci Patriota, Ignazio Accinni, Raffaele


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